Tutti Lo Sanno è l’atteso titolo del nuovo film diretto dal regista iraniano Asghar Farhadi, già Premio Oscar per Il Cliente e autore de Il Passato e Una Separazione, che qui torna a raccontare una storia di complesse umanità spezzate sullo sfondo di una Spagna malinconica quanto rurale, dove si muovono sulla scena attori del calibro di Penelope Cruz, Javier Bardem e Ricardo Darin.
In occasione del matrimonio della sorella, Laura (Cruz) torna nel proprio paese natale – nel cuore di un vigneto spagnolo – insieme ai figli, tra cui l’adolescente Irene. Qui ritrova l’anziano padre, le due sorelle con i rispettivi mariti e figli, ma soprattutto Paco (Bardem), amico d’infanzia con il quale è cresciuta e del quale è sempre stata innamorata.
Ma la vita li ha separati, e adesso lei è sposata con l’argentino Alejandro (Darin), che non l’ha seguita fino in Spagna, mentre lui ha sposato sette anni prima Bea, dalla quale non ha voluto figli. Alcuni avvenimenti inaspettati e sconvolgenti, accaduti proprio il giorno del matrimonio, turberanno il soggiorno di Laura e dei suoi figli, facendo riaffiorare un passato rimasto troppo a lungo sepolto sotto le ceneri del tempo.
Rimarrà di sicuro spiazzato chi andrà a vedere Tutti lo Sanno (qui il trailer italiano ufficiale) con la ferma convinzione di ritrovarsi davanti un thriller: il regista iraniano utilizza infatti i moduli di genere per raccontare, in realtà, la ballata tragica di una serie d’esistenze alla deriva, vite apparentemente perfette che si sfalderanno sotto i colpi del tempo.
E proprio quest’ultimo è il grande protagonista, che Farhadi sceglie di mettere in risalto fin dalle primissime inquadrature: un orologio antico si erge su un alto campanile, affacciato proprio sulla piazzetta del paese spagnolo. Nel silenzio, gli unici testimoni silenziosi del passato sono i colombi e i cittadini stessi, tutti a conoscenza di segreti (più o meno noti) che hanno volontariamente deciso di eclissare pur di andare avanti.
Ma, proprio come i rintocchi clandestini di un orologio, anche il destino torna a bussare alla porta dell’uomo, portando con sé echi della quinta sinfonia di Beethoven: col suo passo greve sconvolge le esistenze incerte e fragili dei protagonisti, ognuno convinto della propria verità costruita nel corso di anni, unico rimedio ad un passato scomodo e inconfessabile.
La solennità del destino è la stessa del ritmo imposto da Farhadi al film: l’incedere di Tutti lo Sanno è lento, incalzante e inarrestabile proprio come certe composizioni blues, capace quindi di catturare – nonostante i 132′ di durata – l’attenzione dello spettatore, che si sentirà lentamente risucchiato in un vortice di segreti e bugie, alle volte certo un po’ prevedibili, ma sempre sorretti da un unico, ossessionante tarlo: la verità.
Le dinamiche del thriller servono al regista come espediente narrativo per far saltare le convenzioni sociali; l’occhio meccanico della macchina da presa sembra distante, lontano, si limita ad accarezzare in un primo momento i volti e i momenti d’intimità dei personaggi. Man mano che la narrazione incalza, però, tende ad avvicinarsi sempre di più scavando nelle loro espresioni e nel cuore delle reazioni, nell’ultimo disperato tentativo di condividere il segreto del loro dramma, ma senza mai trascendere nel melodrammatico.
E gli attori sono proprio il cuore pulsante del film, perché con la loro intensità riescono a risucchiare chi guarda nell’occhio del ciclone di Tutti lo Sanno: come attori su d’un palcoscenico, si muovono liberi davanti all’occhio del regista, senza vincoli di forma, mentre cercano lentamente di far prendere corpo alle proprie emozioni, pronte a valicare i limiti dell’inquadratura coinvolgendo, in prima persona, lo spettatore inerme chiamato a giudicare – o a non giudicare – le azioni commesse nel passato, pronte a ricadere sul presente e sulle generazioni future.