Brutti (mica tanto), sporchi (soprattutto di sangue) e cattivi (fino ad un certo punto): sono i protagonisti dell’ultimo kolossal targato Netflix, Triple Frontier, film d’azione (che è anche un po’ war movie vecchio stile e un po’ heist movie) ad alto tasso di testosterone che sembra voler riesumare e, al contempo, ravvivare i fasti di un genere che ha avuto molto fortuna in passato, a partire in particolare dalla fine degli anni ’60 (si pensi a Quella sporca dozzina, ma anche a Dove osano le aquile) e che è stato affrontato, con ben altro spirito (e ben altri risultati, a parere di chi scrive), da Sylvester Stallone e dalla sua “Armata Brancaleone” nella trilogia de I Mercenari.
Scritto da Mark Boal, già autore del film premio Oscar The Hurt Locker, in principio Triple Frontier avrebbe dovuto essere diretto da Katryn Bigelow (e chissà che film sarebbe stato!), rimasta accreditata come produttrice esecutiva, che ha lasciato il posto (con un certo stupore, possiamo dirlo?) a J.C. Chador, talentuoso regista che certamente ci aveva abituato a ben altro genere di film (basti pensare al thriller Margin Call, che rifletteva sulla crisi economica), ma che dimostra di trovarsi a suo agio anche nel dirigere un film “muscolare” come quello prodotto da Netflix.
È infatti proprio la regia, in modo particolare nelle sequenze d’azione, l’aspetto più interessante di un film che, nonostante le premesse (e le attese), l’imponente cast (quasi tutto rigorosamente al maschile), e un discreto ritmo narrativo, delude soprattutto a livello di sceneggiatura, alla cui stesura probabilmente non ha giovato la lunga preproduzione, durata quasi 10 anni.
Santiago (Oscar Isaac) è un ex militare statunitense assoldato dalla polizia locale per stanare uno dei più potenti boss del narcotraffico sudamericano. Grazie a una sua informatrice, Santiago scopre che il criminale si è assediato in una magione/fortezza protetta dalla giungla, all’interno della quale custodisce tutti i suoi soldi. Deciso a fare giustizia e ad arricchirsi, Santiago progetta un piano di assalto alla fortezza del narcotrafficante, chiedendo l’aiuto di quattro suoi ex compagni che non se la passano molto bene.
Tom “Redfly” Davis (Ben Affleck), separato dalla moglie e che cerca di tirare avanti lavorando (senza molto successo) come agente immobiliare, William Miller (Charlie Hunnan), che dopo il congedo insegna alle reclute, suo fratello Ben Miller (Garrett Hedlund), che sbanca il lunario combattendo (senza molto successo) in MMA e infine il pilota Francisco Moral (Pedro Pascal), che tiene famiglia e ha pure problemi con la legge per possesso di droga. Il gruppo di amici decide di stanare il boss e prendersi il suo ricco bottino, ma le cose naturalmente non andranno come previsto.
La tripla frontiera a cui fa riferimento il titolo è quella che separa Paraguay, Brasile e Argentina, i tre stati che Santiago e i suoi compari devono attraversare (bottino alla mano) per cercare di sfuggire alla grinfie degli uomini del boss derubato e di tutti coloro (e saranno tanti), che vogliono chiaramente impossessarsi dei milioni di dollari trafugati. Ma, sotto un certo punto di vista, la tripla frontiera può essere intesa anche come una metafora di quelli che potremmo definire gli “ostacoli etici” che i protagonisti devono affrontare durante il corso della loro (sanguinosa) avventura.
Tema che certamente emerge durante il corso della narrazione, ma che è affrontato piuttosto blandamente da un film che tende a “suggerire” una profondità (di contenuti e di riflessioni), ma che sceglie di prediligere la sua natura spettacolare per non scontentare quello che in fondo è il suo pubblico di riferimento (gli amanti del genere, i veri appassionanti, non rimarranno delusi da un film che promette sparatorie e un riuscito colpo di scena nel pre-finale).
Probabilmente sarebbe stato chiedere troppo al film di bilanciare l’aspetto spettacolare con quello più impegnato, virando (come a un certo punto lo spettatore si aspetterebbe) verso un atmosfera più intimista e tragica, mettendo realmente i personaggi di fronte alle loro scelte e ai loro gesti: in fin dei conti, la missione si tramuta ben presto in un’azione mirata al recupero del denaro, come se l’aspetto più “giustizialista” (ovvero ammazzare il narcotrafficante) non fosse altro che un pretesto, e i protagonisti abbandonano ben presto il travestimento da eroi e si rivelano per quello che sono, ovvero spietate macchine da guerra che vogliono portare a termine la missione nel modo a loro più vantaggioso, costi quello che costi (anche mettere in discussione la loro pluriennale amicizia).
A questo aspetto si deve aggiungere quanto si accennava anche nell’incipit di questo articolo: la carenza di una sceneggiatura che rende il film poco “bilanciato” e compatto, contraddistinta da una prima parte molto action (la sequenza dell’irruzione nella casa/fortezza del boss è da antologia per la semplicità con la quale è raccontata per immagini), una parte centrale inspiegabilmente monocorde (la sequenza in elicottero), e un finale piatto, senza infamia e senza lode, privo di quel colpo di coda che ci si aspetterebbe da un film di questo genere (una bella resa dei conti no, eh?).
Naturalmente nulla da eccepire sul cast di cui si avvale il film. La presenza di attori quali Ben Affleck (strano ma vero, davvero convincente), Oscar Isaac, Charlie Hunnam, Garrett Hedlund e Pedro Pascal, è certamente un punto a favore di Triple Frontier (qui il trailer italiano ufficiale), ma di certo non basta per rendere davvero riuscito un film che promette forse di più rispetto a quello che riesce davvero a “dare”, in termini di esperienza, allo spettatore.