martedì, Ottobre 8, 2024
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Tremila anni di attesa, recensione del film con Tilda Swinton e Idris Elba

La recensione di Tremila anni di attesa, film di George Miller con protagonisti Tilda Swinton e Idris Elba. Disponibile dal 5 novembre su Sky e in streaming su NOW.

Già quel nome, con cui si presenta al pubblico, suggerisce tanto. Alithea, dal greco antico, quello di Omero, “verità”, è un’algida studiosa di narratologia britannica, il cui lavoro si fonda sul trovare, per l’appunto, le verità comuni a tutte le storie del genere umano, come è lei stessa a rivelare all’inizio del film.

Alithea Binnie, interpretata da una sempre sublime Tilda Swinton, è una donna brillante, razionale ed indipendente, che però, nonostante la sua formazione accademica la spinga a rigettare tutto ciò che abbraccia il mondo sovrannaturale, soffre di strane allucinazioni. Allucinazioni che spesso la portano a vedere presenze ed esseri ultraterreni.

Durante un suo viaggio ad Istanbul, dove si è recata per tenere una conferenza sulla mitologia, Alithea entra in possesso di una bizzarra ampolla dai colori marini, all’interno della quale scoprirà essere rinchiuso un Djinn. La figura del Genio, impersonata da un marmoreo e misterioso Idris Elba, che improvvisamente fa la sua mistica apparizione, si propone di esaudire tre desideri della donna, in modo che possa finalmente ottenere la tanta agognata libertà da quella sua prigione di vetro.

Ma, sotto quel caschetto imperturbabile color del mandarino, Alithea custodisce una acutezza sopraffina, che la mette fin da subito in guardia nei confronti di quella creatura: ella sa infatti che i Geni vengono da sempre tramandati, in particolare dalla religione musulmana, come entità per lo più maligne ed ingannatrici, di cui è opportuno diffidare.

Prende così avvio un lungo disquisire, durante il quale i due iniziano ad aprirsi l’un l’altro, raccontandosi a vicenda il proprio passato: da una parte quello fin troppo convenzionale e piuttosto piatto di Alithea, dall’altra quello, invece, incredibilmente avvincente e turbolento del Genio.

Un’opera tra il reale e il fiabesco

Dopo ben sette anni dal suo ultimo lungometraggio, il pluripremiato Mad Max: Fury Road del 2015, George Miller torna dietro alla macchina da presa con Tremila anni di attesa, un film emozionante, dalla lunga gestazione (ci sono voluti quasi 25 anni prima che vedesse la luce), affidato non soltanto ad una sceneggiatura intrigante, ma anche, e soprattutto, alla bravura dei due attori protagonisti, capaci entrambi di incantare lo spettatore con la propria ars oratoria, elemento portante su cui poggia l’intera trama.

Miller proietta una storia che oscilla costantemente tra il reale ed il fiabesco, un’opera – adattamento di uno dei racconti contenuti nella raccolta “Il genio nell’occhio d’usignolo” di Antonia Susan Byatt – che richiama a gran voce il sapore orientaleggiante de “Le mille e una notte”, mesciato insieme alla gloriosa tradizione del vecchio ed imponente Impero Ottomano. Tutto è rappresentato con vivida esagerazione: l’intensità dei colori, la lucentezza e la turgidità dei corpi, le brame e i turpi feticci dei sultani, proprio per mettere in ulteriore risalto la maestosità di quel mondo antico, dominato dal gusto per l’eccesso.

In contrapposizione a ciò si srotola il monotono e incolore presente di Alithea, che invece conduce sì una vita in sé appagante, ma priva di quelle travolgenti passioni che dovrebbero sconvolgere e tingere d’arcobaleno il grigiore dell’ordinarietà del quotidiano.

Foto di Courtesy of Metro Goldwyn Mayer – © 2022 Metro-Goldwyn-Mayer Pictures Inc. All Rights Reserved.

Una simbologia nascosta

Forse proprio per questo motivo ad Alithea, quando arriva nel lussuoso albergo di Istanbul che la ospita, viene riservata la stanza 333. Un numero che, secondo la simbologia cristiana, possiede un valore decisamente positivo, un significato angelico, basato sulla crescita interiore. Il numero 333, infatti, indica l’arrivo imminente di un qualcosa di importante, un grande cambiamento, una nuova direzione lungo il proprio cammino, che avverrà sotto la protezione di un angelo custode.

Nel momento dunque in cui Alithea, avida di verità su tutto ciò che la circonda, varca la soglia di quella camera, la sua vita prenderà una svolta incredibilmente diversa, attraverso la materializzazione di quel Genio che, magari, altro non incarna se non il ruolo di una fidata guida spirituale. Che poi si tratti di una realtà trapelante magici risvolti, oppure di una ennesima visione illusoria creata dalla instabile mente di Alithea, non è dato saperlo.

E probabilmente il fascino e l’incanto di Tremila anni di attesa – presentato fuori concorso al Festival di Cannes nel 2022 e uscito in Italia direttamente in home video grazie a Eagle Pictures – risiede anche in questo indecifrabile e lecito enigma. Un ossessionante dubbio, destinato a restare sospeso fino alla fine negli occhi dello spettatore.

Guarda il trailer ufficiale di Tremila anni di attesa

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Miller proietta una storia che oscilla costantemente tra il reale ed il fiabesco, un’opera - adattamento di uno dei racconti contenuti nella raccolta “Il genio nell'occhio d'usignolo” di Antonia Susan Byatt - che richiama a gran voce il sapore orientaleggiante de “Le mille e una notte”, mesciato insieme alla gloriosa tradizione del vecchio ed imponente Impero Ottomano. Tutto è rappresentato con vivida esagerazione: l’intensità dei colori, la lucentezza e la turgidità dei corpi, le brame e i turpi feticci dei sultani, proprio per mettere in ulteriore risalto la maestosità di quel mondo antico, dominato dal gusto per l’eccesso.

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