Non c’è da stupirsi che Lin-Manuel Miranda (Hamilton) abbia scelto proprio tick, tick… Boom! per il suo debutto dietro la macchina da presa. La storia di Jonathan Larson, compianto autore del pluripremiato Rent (1996), oltre a risuonare nella memoria di qualsiasi aspirante compositore di musical, crea un singolare cortocircuito tra vita e arte. Larson, che negli anni di gavetta si esercitava a scrivere canzoni su qualsiasi argomento (dallo zucchero nel caffè al brunch domenicale), conferisce lui stesso un che di paradigmatico alla sua esistenza: se non sapessimo che è realmente esistito, lo scambieremmo per un personaggio costruito ad hoc, abilmente confezionato per motivare il giovane pubblico ad inseguire i propri sogni.
tick, tick… Boom!, concepito in origine come un one-man show, debuttò Off-Off-Broadway nel 1990 e raccontava dei tentativi fallimentari di Larson di sfondare sulla scena teatrale newyorkese di quegli anni. Lin-Manuel Miranda imbastisce una complessa opera meta-cinematografica (per certi versi è più facile guardarla che raccontarla), conferendo a Larson il duplice statuto di protagonista della pièce autobiografica che dà titolo al film e protagonista del biopic a cui quello stesso spettacolo fa da cornice. Il film, scritto da Steven Levenson (Dear Evan Hansen) e con protagonista Andrew Garfield (The Amazing Spider-Man, La battaglia di Hacksaw Ridge), debutta su Netflix il 19 novembre.
Jonathan (Andrew Garfield) è un compositore di musical che, giunto alla soglia dei trent’anni, si prepara a presentare Superbia – la sua opera d’esordio – ad una platea di critici e amici. Ad incoraggiarlo sono soprattutto la fidanzata Susan (Alexandra Shipp), una giovane ballerina che sta progettando di lasciare New York per diventare insegnante di danza, e l’amico di sempre Michael (Robin de Jesús), che ha sfondato in un’azienda pubblicitaria, abbandonando qualsiasi velleità artistica. La storia di questo allestimento sarà al centro del lavoro successivo di Jonathan, il tick, tick… Boom! del titolo: il giovane, alternando canto e ricordi, racconta quel periodo frenetico della sua vita, in cui cercava di sbarcare il lunario dividendosi tra lavoro in un diner di Soho ed assoluta dedizione al suo progetto artistico.
tick, tick… Boom!, come già detto, si distingue per il suo impianto metacinematografico, trattandosi di un musical che parla della genesi di un altro musical. Questa premessa, se ben sfruttata, avrebbe potuto fare di tick, tick… Boom! un’opera unica nel suo genere, permettendo a Lin-Manuel Miranda di giocare con diversi piani temporali e, allo stesso tempo, di conferire compattezza e coerenza alla narrazione, utilizzando la musica di Jonathan Larson come filo conduttore. tick, tick… Boom! presenta, in effetti, una struttura vivace, caratterizzata da un uso intelligente dei flashback ed enfatizzata da una serie di brani splendidamente eseguiti dal cast. Essa, pur creando un efficace contrappunto visivo e sonoro, non basta tuttavia a mettere in risalto il genere di appartenenza. È come se l’energia richiesta ad un musical, tale da coinvolgere tutti i sensi dello spettatore, fosse presente, ma soltanto “in potenza”. Partecipiamo, sì, ai tormenti di Jonathan e della sua cerchia di amici e conoscenti, ma lo facciamo a distanza, senza godere dell’identificazione necessaria a farci sentire parte in causa delle vicende narrate.
tick, tick… Boom!, in questo senso, si configura come un’occasione in parte mancata, trattandosi di un’ode ai sogni e al fallimento, che affronta una serie tematiche “motivazionali” molto amate dal grande pubblico. Interessante è, infatti, che Jonathan Larson sia stato raffigurato in quel momento di incertezza che sognatori e visionari conoscono bene. Il successo non è stato raggiunto – e forse non arriverà mai -, ma si continua a lavorare per ottenerlo, sostenuti dalla propria ambizione. Ci accorgiamo, così, delle splendide doti attoriali di Andrew Garfield e ringraziamo che abbia deciso di appendere al chiodo il costume di Spiderman. L’attore trova la sua dimensione in un’interpretazione complessa tecnicamente (basti pensare agli impegnativi numeri canori richiesti dal ruolo) e concettualmente.
Garfield è ottimo nel tratteggiare un carattere sfaccettato che alterna con nonchalanche entusiasmo e frustrazione, un sognatore con i piedi per terra, forte di un sentimento di autoironia garantito da una performance tanto misurata quanto magnetica. Eppure, permane la sensazione che si sia tralasciato qualcosa. La responsabilità non è da attribuire all’attore, ma allo spirito con cui si è scelto di affrontare il soggetto del film. Si percepisce una foga nel voler delineare a tutti i costi una vicenda emblematica (che, in un certo qual modo, possa fungere da ispirazione al pubblico), con il rischio di appiattire la figura del protagonista su una narrazione unidimensionale e per certi versi stereotipata. Viene da chiedersi quanto sia stato restituito del “vero” Jonathan e quanto, invece, sia frutto di un pregresso sentimento di riverenza nei suoi confronti.
Guardando tick, tick… Boom!, infatti, la prima cosa che salta all’occhio è l’assoluta ammirazione di Lin-Manuel Miranda verso il suo protagonista. Noto al grande pubblico per essere la penna dietro al celebre musical Hamilton, Lin-Manuel Miranda (classe 1980) fa parte di quella generazione di giovani compositori teatrali indelebilmente toccati dal successo di Rent, l’opera musicale che negli anni Novanta segnò la rinascita del musical rock a Broadway. Larson ebbe l’intuizione di rinnovare il genere a partire dai temi trattati, dando vita ad uno spettacolo che non si limitava all’intrattenimento, ma che si configurava soprattutto come potente denuncia sociale, in un periodo storico drammaticamente segnato dallo spettro dell’AIDS.
Pur non venendo citato esplicitamente, Rent è presente, in nuce, all’interno di ogni singolo momento di tick, tick… Boom!. Come si misura un anno di vita?: così recitava “Seasons of love”, il brano cardine del musical del 1996. Il tempo, inteso come contenitore di momenti insignificanti che acquisiscono valore soltanto se vissuti con la giusta consapevolezza, era evidentemente un tema caro all’autore. La giornate del Jonathan interpretato da Andrew Garfield sono, non a caso, scandite da un “tick, tick” ossessivo, ben noto a chi, giunto ad una certa fase dell’esistenza, si sente scivolare la sua stessa vita dalle mani. Un ticchettìo che può atterrire o costringere ad assumere un ruolo attivo, determinando la natura dell’esplosione finale (da intendersi come esaurimento del tempo a disposizione o, alternativamente, come rivelazione inaspettata e vitale).
Allo stesso modo, le figure con cui Jonathan interagisce, i piccoli grandi inconvenienti della sua quotidianità e le sfide che una città impegnativa come New York dissemina sul suo cammino riecheggiano il racconto di Rent: le due opere si illuminano l’un l’altra, permettendo allo spettatore di inserirle all’interno di un più ampio quadro d’insieme. Arte e vita si mescolano, imitandosi a vicenda, persino quando vengono toccati temi dolorosi come la malattia e la morte. Al netto dei suoi difetti, tick, tick… Boom! si dimostra all’altezza di preservare la commozione di chi guarda, che comunque (va detto) difficilmente avrebbe potuto restare indifferente di fronte alla parabola di vita del protagonista.
Noi spettatori conosciamo il destino beffardo che colpì il giovane artista, morto all’improvviso il giorno precedente alla prima del suo musical rivoluzionario. Tick, Tick… Boom! ha il merito di attenuare il sentimento di frustrazione che proviamo pensando ad un personaggio che non ha potuto assistere ad un successo tanto agognato, mostrandoci come Jonathan sia riuscito – nella sua pur breve vita – ad elevare ad arte i tormenti suoi e dei suoi coetanei, plasmandoli come creta in un’opera innovativa, che avrebbe ispirato artisti e spettatori per molti anni a venire.