In sala dal 1 dicembre The Woman King, dramma epico ambientato nell’Africa di inizio Ottocento, con protagonista una sempre incredibile Viola Davis, diretta da Gina Prince-Bythewood (The Old Guard). Il film è ambientato nel 1823 nel Regno di Dahomey dove, in difesa del proprio territorio, c’è un’unità femminile di guerriere: le Agojie, capitanate da Nanisca (interpretata dalla Davis).
The Woman King è chiaramente un manifesto di sorellanza e di resistenza contro il nemico. Ispirato alla vera storia delle Amazzoni del Dahomey, l’esercito delle Agojie serviva il Re Ghezo e il suo Regno, tra i più potenti dell’Africa tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, snodo fondamentale per la tratta degli schiavi in Europa e in Nordamerica.
Quello che viene narrato nel film è il momento in cui il Dahomey sceglie di ribellarsi a quella che per molto tempo era stata la sottomissione all’Impero Oyo, principale fautore degli accordi con l’Occidente. L’obiettivo di questa potenza imperiale è proprio quello di ridurre le popolazioni conquistate in schiavitù per venderle al miglior offerente occidentale.
Interessante è che Hollywood scelga sempre più spesso di trovare una strada verso la redenzione del proprio ruolo in merito alla schiavitù ai danni delle popolazioni africane – almeno cinematograficamente parlando – come anni addietro fece Quentin Tarantino con la pellicola Django Unchained o ancora la trasposizione della biografia dello schiavo Solomon Northup da parte di Steve McQueen in 12 anni schiavo. L’uomo bianco venuto da Occidente è disinteressato all’esistenza dei popoli autoctoni se non ai fini di vendita degli stessi per poterne ricavare denaro. Uomini e donne ispezionati e messi in vendita come carne da macello.
La direzione che sceglie di prendere il Dahomey è quella di non vedere più il suo popolo come merce di scambio ma come una realtà fatta di guerrieri e di contadini, iniziando a puntare sul commercio dell’olio di palma. A proteggere e spalleggiare Re Ghezo ci sono quindi le Agojie, esercito formato da prigioniere che hanno scelto di combattere e diventare cacciatrici anziché prede – come recita una ex prigioniera -, oppure da giovani donne che hanno ripudiato il ruolo cui sembrano essere predestinate per scendere in campo e lottare.
Una sorta di lotta femminista ante litteram
L’immaginario costruito attorno a questo esercito di donne è una realtà femminile forte, feroce e coraggiosa. Un sistema in cui le donne non sono relegate alla vita familiare ma spinte ad essere in prima linea nella difesa della propria terra, della propria gente, dei propri confini. Il sentimento di sorellanza che si sviluppa all’interno della milizia femminile è ancora più evidente quando entrano in scena le nuove reclute, tra le quali la giovane Nawi (Thuso Mbedu): testarda e ribelle, seguirà l’addestramento che la prepara ad affrontare gli schiavisti occidentali a costo della propria vita.
Il rapporto con l’epico è degno dei diversi predecessori hollywoodiani del genere: si porta dietro alcune inesattezze storiche e trame secondarie deboli, che tuttavia non oscurano mai la narrazione principale, forte soprattutto della superba presenza di Viola Davis (vista di recente anche in Black Adam) che si cala nei panni della donna che guida la Guardia del Re con audacia e onore; portatrice dei suoi demoni che affronta e demolisce con rabbia.
The Woman King è un film impegnato, emozionante e carico di azione intensa. Si lascia guardare con trasporto non solo per il modo in cui affronta il fenomeno della tratta degli schiavi, ma anche per l’attualità delle tematiche attorno cui ruota la storia: la resistenza all’oppressore e l’importanza della sorellanza. Le guerriere dedicano la propria vita alla lotta pur di essere strappate alla condizione femminile esistente; rinunciano all’amore romantico, ai figli, consacrando le loro forze e le loro vite alle loro sorelle. Una sorta di lotta femminista ante litteram, una metafora di lotta per la libertà.