A dieci anni di distanza dal primo The Strangers, uno degli horror più atipici e al tempo stesso più riusciti dell’ultimo decennio, arriva nelle sale italiane il sequel The Strangers Prey at Night. Il regista Bryan Bertino lascia questa volta la cabina di regia al collega Johannes Roberts, che col genere si era già cimentato grazie a pellicole quali La Foresta dei Dannati e The Other Side of the Door.
La grande intuizione narrativa che aveva reso così speciale il primo The Strangers viene ripresa anche in questo sequel: mettere da parte qualsiasi tipo di rappresentazione orrorifica canonica per catturare l’attenzione dello spettatore lentamente, attraverso una straordinaria costruzione della tensione.
Com’era già accaduto nel primo film, anche in The Strangers Prey at Night la paura – tanto nei personaggi quanto nello spettatore – nasce dall’impossibilità di comprendere le motivazioni alla base degli attacchi del folle trio di assassini (gli sconosciuti del titolo) composto da Dollface, Pin-Up e L’Uomo con la Maschera.
The Strangers Prey at Night, in cui Bertino figura come sceneggiatore al fianco di Ben Ketai, riprende quasi pedissequamente la struttura narrativa del suo predecessore, nonostante i problemi di coppia lascino il posto a quelli di un’intera famiglia, e l’azione diventi meno claustrofobica, spostandosi oltre i limiti domestici imposti dal primo film.
Nel mirino dei tre misteriosi serial killer troviamo questa volta una famiglia disfunzionale composta da Mike, sua moglie Cindy e i loro due figli adolescenti, Luke e Kinsey. I quattro, giunti in un camping abbandonato per una breve gita familiare, diventeranno ben presto il bersaglio dei tre psicopatici mascherati, con intenti omicidi ancora più inspiegabili di quanto visto in passato.
The Strangers Prey at Night recensione del sequel di Johannes Roberts
Sono diversi gli elementi che contribuiscono a rendere The Strangers Prey at Night un sequel quasi perfetto. Prima di tutto, la regia di Johannes Roberts: prediligendo campi lunghi, l’obiettivo del regista britannico sembra essere quello di aumentare la sensazione di isolamento e di impotenza nella quale versano i personaggi della storia.
La macchina da presa di Roberts esalta così l’aspetto solitario e desertico delle ambientazioni, luoghi all’apparenza innocui che – in realtà – non lasciano alcuna via di scampo. Il giusto estetico del regista, asciutto e lineare, viene esaltato da un montaggio inizialmente tradizionale e lento che diventa a poco a poco sempre più nervoso, specie quando la sceneggiatura inizia a sviscerare le varie dinamiche tra i componenti della famiglia e i tre grotteschi psicopatici, in un’efferata dinamica “gatto contro topo” dalle conseguenze più o meno prevedibili.
Ancora una volta è l’irrazionalità della violenza, la mancanza di spiegazioni e l’anonimato dietro il quale si cela l’infernale gruppo di maniaci a fare il bello e il cattivo tempo di una storia estremamente semplice che riesce tuttavia a mantenere viva l’attenzione dello spettatore, in un crescendo capace di offrire un’inattesa vastità di soprassalti.
Altro elemento imprescindibile che contribuisce a rendere The Strangers Prey at Night un sequel abbastanza discreto è l’utilizzo delle musiche: rifacendosi ai temi portanti dei più grandi classici degli anni ’70 e ’80, l’immaginario ricreato attraverso la colonna sonora lascia quasi sbalordito lo spettatore, ormai sempre più avvolto in un’atmosfera allucinante e angosciante che raggiunge il culmine in una sequenza a dir poco magistrale, in cui il malcapitato di turno viene fatto fuori sulle note di “Total Eclipse of the Heart“ di Bonnie Tyler.
Forse è proprio da quel momento che The Strangers Prey at Night (qui il trailer italiano ufficiale) fatica ad avviarsi verso una degna conclusione, lasciando il posto a soluzioni narrative di certo abusate nella storia della cinematografia horror, che minano senza dubbio quella “quasi perfezione” a cui abbiamo fatto riferimento poc’anzi.
Ad un passo dalla resa dei conti, assistiamo ad un involuzione della suspense e vediamo affievolirsi quasi inevitabilmente l’empatia nei confronti dei superstiti, fino ad una conclusione fin troppo derivativa che – a differenza della pellicola originale – sembra incapace di rendere pienamente giustizia alle premesse iniziali e ai punti di forza del film stesso.