Aveva conquistato il pubblico e la critica internazionale con il suo The Father – Nulla è come sembra, tanto da aggiudicarsi l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale e permettere a Antony Hopkins di vincere il suo secondo Oscar come miglior attore protagonista.
Florian Zeller continua a portare sullo schermo adattamenti di opere teatrali da lui scritte. Anche con The Son, presentato in Concorso a Venezia 79, Zeller porta avanti il discorso sulle malattie mentali e sulle difficili dinamiche familiari che queste comportano. Un cast di volti noti, a partire da Hugh Jackman, Laura Dern e Vanessa Kirby (vincitrice della Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile all’edizione 2020 della Mostra grazie a Pieces of a Woman). In un piccolo ruolo, torna anche Anthony Hopkins.
La demenza senile viene messa da parte per dare spazio a quella definita come “la malattia del secolo”, ma c’è ancora scarsa informazione e fa quasi paura nominarla: la depressione. Nicholas (interpretato dal giovane Zen McGrath), è un adolescente di 17 anni diverso dai suoi coetanei. Salta la scuola, non ha amici, ma soprattutto è triste e piange senza motivo. Le giornate scorrono inesorabilmente sempre uguali. Quel malessere continuo a cui non sa dare un nome. Quella sensazione di non farcela a vivere che non gli dà tregua. Allora, l’unica via di fuga è farsi del male, perché così si riesce a canalizzare il dolore. Il blu, colore spesso associato alla tristezza (“feeling blue” in inglese significa “sentirsi tristi”), enfatizza ancora di più lo stato d’animo del protagonista. Il blu, però, è anche il colore del mare, presente in alcuni flashback di un passato felice.
The Son, un film che sembra perdere la bussola
The Son è un film che, a differenza del precedente, non mette lo spettatore in primo piano facendogli sperimentare la malattia e ciò che essa comporta. In qualche modo, c’è una visione obiettiva ed esterna della condizione di Nicholas: viviamo le sue sofferenze dal punto di vista dei genitori, che sono incapaci di dare affetto al figlio e di ascoltarlo, arrivando a rassegnarsi. E va bene così, perché a volte bisogna avere il coraggio di ammettere che non siamo capaci. Scegliere se agire per affetto o per il bene del figlio diventa un dilemma necessario e le due opzioni non possono essere conciliabili: l’una esclude l’altra.
Le scelte che i genitori fanno influenzano la vita dei figli che si ritrovano a loro volta a ripeterle, soprattutto quelle sbagliate. Solo dopo una discussione con il figlio, il personaggio di Peter (Jackman) si rende conto di essere simile a suo padre, a cui per anni ha rimproverato la sua totale assenza. Ha abbandonato la moglie perché si è innamorato di un’altra donna e tutto questo ha procurato al figlio un blocco, una ferita che non si riesce a rimarginare.
Ciò che rimane, però, alla fine di questo percorso è che The Son, in alcuni momenti, sembra perdere la bussola. Non approfondisce quella che dovrebbe essere la tematica generale e più che su Nicholas sembra un film su Peter. Il personaggio di Hopkins poteva essere approfondito un po’ di più e il momento della discussione con il figlio Peter si riduce ad una scena che non porta ad una reale soluzione.
Sembra che stavolta Florian Zeller non abbia avuto il coraggio di andare fino in fondo alla questione, con un finale strappalacrime che, alla fine, non restituisce la piena consapevolezza della malattia. In The Son, quindi, rimane solo il dramma, ma non la presa di coscienza del problema.