Tratto dalla storia vera di Mark Felt, The Silent Man (qui il trailer italiano ufficiale) racconta uno dei momenti più bui della storia americana: lo scandalo Watergate. Se in passato Tutti Gli Uomini del Presidente di Alan J. Pakula e Nixon di Oliver Stone hanno tentato di fare lo stesso dal punto di vista rispettivamente dei giornalisti e del controverso presidente, questa volta la storia si focalizza su una figura forse secondaria ma non meno significativa: Mark Felt.
Conosciuto con lo pseudonimo di Deep Throat – in italiano Gola Profonda –, Felt (qui interpretato da Liam Neeson) è infatti stato l’informatore di Bob Woodward e Carl Bernstein, i due reporter del The Washington Post che hanno svelato ai cittadini degli Stati Uniti i segreti del FBI, portando in pochi mesi all’accusa e alle successive dimissioni del presidente Nixon.
Biopic dal taglio estremamente tradizionale, The Silent Man alterna due differenti linee narrative. La prima, più propriamente storica, segue il dipanarsi dello scandalo Watergate e la lenta ma inesorabile presa di coscienza che ha portato Felt a decidere di collaborare con i cronisti d’assalto del quotidiano notoriamente anti-nixoniano (a tal proposito, si veda lo splendido The Post).
Questa prima parentesi narrativa non convince pienamente nell’effettiva messa in narrazione, che appare spesso eccessivamente lenta e incapace di offrire un ritmo adeguato. Il rischio dei biopic – almeno che tu non sia Steven Spielberg, Clint Eastwood o pochi altri – è generalmente proprio questo: non intrattenere.
The Silent Man recensione del biopic con Liam Neeson e Diane Lane
Nel corso dei momenti più discorsivi, lo spettatore potrebbe quindi non seguire pienamente i dettagli e le sfaccettature della storia, perdendosi in scambi di battute a tratti farraginosi e poco coinvolgenti. Parallelamente, è comunque indubbio che la ricostruzione storica appaia esaustiva ed accurata, sia da un punto di vista narrativa che visivo.
Ben riuscita è pertanto la messa in scena che, nonostante qualche accento forse eccessivamente kitch, rispecchia lo stile dell’epoca, che non può dirsi anacronistico. Gli elementi scenografici, accostati alla sapiente fotografia, comprovano il buon taglio semi-autoriale del regista Peter Landesman, che almeno nell’estetica non ha nulla da invidiare ad alcuni suoi colleghi.
La seconda linea narrativa si focalizza invece sulla vita privata di Mark Felt, raccontata alla luce del delicato rapporto con la moglie Audrey (Diane Lane) e di quello molto più complicato con la figlia Joan (Maika Monroe). Paradossalmente, se la parte storica appare come si è detto troppo lenta, questa invece risulta superficiale e sbrigativa. Le due donne potevano infatti essere caratterizzate più intimamente, così da favorire anche un maggior equilibrio tra i due registri.
Un ultimo appunto deve essere necessariamente fatto nei confronti del cast: se da un lato il fascino e la bravura di Diane Lane riescono in poche scene ad ammaliare lo spettatore, ciò non succede con il protagonista Liam Neeson che, pur non offrendo una perfomance deprecabile, non riesce a colpire il pubblico.