Predator è sicuramente una delle saghe cinematografiche più sfortunate della storia: a parte il primo iconico capitolo interpretato da Arnold Schwarzenegger nel lontano 1987, nessuno dei sequel realizzati è mai riuscito ad eguagliare l’innegabile fascino selvaggio del suo capostipite (per non parlare degli infimi crossover con la saga di Alien).
A circa 30 anni dall’uscita nelle sale del cult diretto da John McTiernan, la razza aliena Yautja torna sul grande schermo protagonista del quarto capitolo del franchise, una sorta di ibrido tra reboot e sequel diretto del primo episodio, affidato alle mani e alla penna esorbitanti di Shane Black, che proprio nel film di McTiernan aveva recitato in un piccolo ruolo.
Sin dalle primissime immagini di The Predator è palese l’intento del regista e sceneggiatore di voler trasportare il pubblico in un viaggio a ritroso nel tempo. Sia per estetica sia per struttura narrativa, l’opera di Black riporta alla memoria i classici action prodotti tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90.
L’obiettivo primario – e forse unico – del film sembra essere proprio quello di permettere allo spettatore di riassaporare una certa esperienza cinematografica legata intrinsecamente alla sala. Una ricerca ostentata e ossessiva dell’elemento nostalgico che si traduce in una rielaborazione parecchio discutibile della mitologia partorita dalla mente di Jim e John Thomas.
La storia di The Predator, scritta a quattro mani da Shane Black insieme a Fred Dekker, è esile e inconsistente, si sviluppa in maniera fin troppo lineare – diventando a tratti inverosimile – e azzera ogni possibilità di approfondimento circa uno dei temi cardini del franchise, quello della sopravvivenza.
The Predator di Shane Black dall’11 ottobre al cinema
Black, che nel corso della sua carriera ci ha abituati ad una scrittura smaccatamente divertente (dagli inizi con Arma Letale al più recente The Nice Guys), non manca di condire la sua avventura fanta-horror con humor capace di intrattenere ma fine a se stesso, indubbiamente stonato all’interno della narrazione. Il regista e sceneggiatore appare come imprigionato nei suoi stessi capisaldi creativi senza mai riuscire a svincolarsene.
The Predator (qui il trailer italiano ufficiale) è derivativo nelle intuizioni, negli snodi narrativi e anche nella messa in scena; una sorta di parodia dell’originale, politicamente scorretto quanto basta, gore quando serve, con personaggi scanzoanti ma estremamente monodimensionali (nonostante il cast risulti particolarmente azzeccato, su tutti Boyd Holbrook e Olivia Munn).
La sensazione è che Shane Black abbia fin troppo preso in prestito dal materiale originale, privando la sua opera di autentica personalità e realizzando un collage di situazione già viste in cui si muovono personaggi accattivanti ma mal sfruttati, e in cui diventa quasi asfissiante l’ombra di una lavorazione estremamente travagliata.
The Predator soccombe alle logiche del pop-corn movie, del prodotto usa e getta, sicuramentte fruibile per i suoi 107 minuti di durata, ma altrettanto dimenticabile una volta usciti dalla sala. Black cerca di riportare in auge i frammenti di un cinema glorioso ma ormai sorpassato: l’effetto straniante di un viaggio a ritroso nel tempo gioca purtroppo a sfavore della resa finale del film, che invece di permettere ad un franchise di rinascere dalle sue ceneri, lo affossa ancora una volta lungo il viale del tramonto.