Si potrebbero ricamare infinite trame sugli studi cinematografici sorti intorno al concetto di mascolinità, un aspetto fondamentale soprattutto nello storytelling che ha dominato il mercato mainstream dei film action negli anni ’80/’90: saghe come Die Hard, ma anche Rambo e altri epigoni (più o meno di qualità) hanno segnato un passaggio generazionale importante e significativo, in particolare per quanto riguarda la percezione del maschile attraverso lo sguardo del pubblico in sala.
Di film così muscolari e testosteronici se ne scrivono sempre meno al giorno d’oggi, dando spazio ad una pluralità di voci che ha sancito il tramonto di un genere (quello dei film d’azione) che ha dominato, in modo pressoché incontrastato, il mondo dei blockbuster hollywoodiani. Ma The Plane, il nuovo film diretto da Jean-François Richet, tenta di riportare in auge questo prolifico filone mettendo, al centro del proprio immaginario della catastrofe, il classico eroe virile nei cui panni si cala Gerard Butler, uno degli ultimi last action hero della nuova generazione (insieme ad una caotica miscellanea composta da Liam Neeson, Denzel Washington, Nicolas Cage, Jason Statham o Dwayne Johnson).
Il film, che arriverà nelle sale dal 25 gennaio, è incentrato su un coraggioso pilota che per salvare i suoi passeggeri da una violenta tempesta, effettua un rischioso atterraggio d’emergenza su una remota isola delle Filippine. Ciò che i superstiti ignorano è che dovranno però affrontare una nuova minaccia: degli spregiudicati guerriglieri indipendentisti che vivono in quelle terre vogliono rapirli e farne degli ostaggi per chiedere, indietro, un lauto riscatto. Sarà compito del comandante Brodie Terrance (Butler) proteggere i sopravvissuti presi in ostaggio e portarli in salvo, con la complicità di un ex-Marine in arresto, destinato ad essere rimpatriato negli Stati Uniti con una scorta dell’FBI.
In un cinema sempre più citazionista, auto-celebrativo, edonistico, meta-cinematografico e pronto a riflettere su se stesso (e i meccanismi nascosti dietro la “macchina-cinema”), The Plane sortisce sugli spettatori lo stesso effetto di una macchina del tempo: riporta indietro le lancette fino agli anni ’90, evocando gli spettri del canto del cigno di un genere ma senza prendersi troppo sul serio, interessato piuttosto a raccontare una storia che arricchisce l’opulento filone dell’immaginario della catastrofe, un genere prettamente americano.

Archetipi antichi ma pur sempre efficaci
Per gli Stati Uniti inscenare disastri sul grande schermo rappresenta un modo per continuare una tradizione (del loro personalissimo storytelling): il mito della frontiera, che dal West dei pionieri si è progressivamente spostato, conquistando nuovi spazi e dimensioni. Film che mescolano la forma del disaster movie, con il survivor thriller e infine il più tradizionale degli action sono stati la fortuna della Macchina dei Sogni, e Jean-François Richet cerca di riportarli in vita grazie ad una trama esile e forse troppo ingenua, ma funzionale per un’unica finalità: il puro intrattenimento.
Lo spettatore, richiamato dal fascino buio della sala, si troverà di fronte ad una capsula in grado di proiettarlo indietro nello spazio-tempo, assistendo ad una teoria di personaggi lontani dalla complessità freudiana (e shakespeariana) di molto cinema post-moderno, e vicini piuttosto all’immaginario tradizionale dell’archetipo. Gerard Butler è, ancora una volta, l’eroe impavido – senza macchia, né paura – pronto a tutto pur di salvare la situazione: Leonida una volta, Leonida tutta la vita, pur concedendosi delle brevi incursioni sentimentali che svelano la fragilità del maschio moderno, ancora capace (sullo schermo) di essere un eroico salvatore pur mostrando anche le paure e i dubbi che lo attanagliano e dilaniano. Al suo fianco, in questo viaggio dell’eroe, ci sono degli aiutanti magici pronti ad aiutarlo nella missione più difficile, quella di sgominare i cattivi di turno (assolutamente privi di ragioni valide o approfondimento psicologico) contraddistinti da una dubbia moralità.
The Plane, nella sua essenzialità, ha l’effetto di una macchina del tempo: un action classico scritto inseguendo, costantemente, il brivido della suspense e dell’adrenalina, ponendo al centro dell’azione un classico eroe funzionale ad orchestrare, sullo schermo, archetipi antichi ma pur sempre efficaci nella loro semplicità. Anacronistico e fuori tempo massimo, creatura aliena in questi tempi moderni dominati da un cinema “giocattolo” sensazionalista, magniloquente, estetizzante e incline all’edonismo, riesce però nella missione più difficile di sempre: intrattenere e proiettare lo spettatore lontano dalla sala, trascinandolo in situazioni ad alta tensione dal finale prevedibile, ma non per questo meno accattivanti nel loro svolgimento.
Merito, sicuramente, anche della presenza “rassicurante” – e sorniona – di Butler che non costituisce una variazione sul tema dei suoi ruoli più recenti, ma rende credibile (e accattivante) un ruolo da last action hero (appunto) altrimenti ridondante e vuoto, grazie ad una “faccia da schiaffi” capace di lanciare taglienti battute, prima di ritrovarsi al centro di una scena d’azione nuda e cruda.