Stephen Frears, considerato all’unanimità uno dei migliori registi britannici esistenti, autore di alcuni classici immortali come My Beautiful Laundrette, Le relazioni pericolose e Rischiose abitudini, torna dietro la macchina da presa a ben cinque anni di distanza dall’ultimo Victoria e Abdul, facendosi nuovamente affiancare dalla coppia Jeff Pope e Steve Coogan, gli sceneggiatori di Philomena, tra i film della produzione più recente del regista sicuramente più acclamati.
L’occasione è The Lost King, presentato in anteprima mondiale al Toronto Internazional Film Festival e in anteprima italiana alla 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma (in programma dal 13 al 23 ottobre). Il film, tratto da una storia vera, è ispirato al ritrovamento dei resti di Riccardo III avvenuto a Leicester nel 2012 e racconta l’incredibile storia di Philippa Langley, donna responsabile della scoperta della vera storia dell’ultimo sovrano d’Inghilterra appartenente alla casa di York e del ritrovamento delle sue spoglie mai rinvenute, che ha dovuto lottare strenuamente per difendere la validità della sua tesi e la paternità della sua importante conquista.
Così com’era già accaduto per Philomena, anche al centro del nuovo lavoro di Stephen Frears ritroviamo un’eroina ordinaria che, trasportata dalle sue fantasie, si lancia anima e corpo in un’appassionante viaggio per riscattare il suo stesso valore (troppe volte svilito da tutte quelle persone che impoveriscono la sua quotidianità) e mettendo a dura prova tanto la sua salute fisica (la protagonista soffre di encefalomielite mialgica, nota anche come sindrome da fatica cronica) quanto la sua incrollabile tenacia e determinazione.
Tra commedia e dramma, tra fantasia e realtà
In un continuo alternarsi tra commedia e dramma, la storia di Philippa Langley e quella di Riccardo III finiscono sorprendentemente per collimare: come in vita Riccardo venne considerato per molti secoli un illegittimo usurpatore, stigmatizzato dal peso dei pregiudizi schiaccianti del singolo e dell’intera società, così Phillippa, nel suo essere apparentemente diversa dalla massa, incapace di uniformarsi ad una presupposta normalità, si sente affine alla figura del re. È per questo che il desiderio ardente di riabilitare la sua memoria da parte della donna (costretta a combattere la diffidenza e la superbia degli accademici, che la considerano soltanto una pazza, una visionaria senza alcuna cognizione di causa) attinge non soltanto all’esigenza di restituire dignità storica al personaggio, ma anche al bisogno di riscattare sé stessa.
Attraverso la battaglia di Phillippa, interpretata da una sempre convincente e splendida Sally Hawkins, la sceneggiatura di Pope e Coogan (coinvolto anche come attore, nei panni del marito della protagonista) invita lo spettatore a riflettere, con ironia e sarcasmo, ma pur sempre con intelligenza, non solo su quanto possa essere facile, allora come oggi, distorcere la Storia (quella con la S maiuscola) attraverso meccanismi spesso indistricabili, ma anche su quanto sia ancora estremamente difficile per le donne farsi valere in determinati ambiti profondamente snob ed elitari, ma anche maschilisti e sessisti. Grazie al suo coraggio e alla sua caparbietà, alla fine Philippa Langley, come segno di riconoscimento del suo operato, verrà nominata nel 2015 membro dell’Ordine dell’Impero Britannico dalla regina Elisabetta II, mentre nel 2018 il nome di Riccardo III verrà ufficialmente inserito nella timeline del sito web della Famiglia Reale inglese, passando così da usurpatore a leggittimo sovrano che regnò dal 1483 fino alla sua morte, avvenuta nel 1485.
Con The Lost King, il regista Stephen Frears riesce a coniugare, grazie a quella tipica eleganza e raffinatezza che da sempre contraddistinguono il suo stile, la ricerca estenuante della verità con i labirintici e tortuosi viaggi della mente, mescolando realtà e fantasia – quello che avviene fuori e dentro la mente di Phillippa -, con fare umoristico e beffardo, ma anche con seriosità, riuscendo perfino a superare una leggera mancanza di tensione drammatica e di grinta emotiva in alcuni passaggi fondamentali della narrazione (in questo, Philomena centrava pienamente il bersaglio). Non meno importante, le musiche composte da Alexandre Desplat fanno da cornice suggestiva ad una vicenda che alla fine si rivela godibile e curiosa, incastonandola in una perfetta atmosfera tanto onirica e stramba quanto concreta e realistica.