Il Natale è trattato alla stregua di un personaggio nei migliori “film delle feste”. Si integra nelle vicende dei personaggi come un MacGuffin: uno spirito da scoprire, un ideale da raggiungere, l’innesco per dei caratteri che diventano estremi; più buoni o, al contrario, più stizzosi. In The Holdovers – Lezioni di vita, la nuova commedia di Alexander Payne, il 25 dicembre è una data centrale in una sorta di calendario di detenzione. Quello di un gruppo di studenti che non sono stati accolti a casa dalle proprie famiglie per la pausa invernale. Restano a scuola, un prestigioso liceo cattolico, insieme a Paul Hunham, professore integerrimo e un po’ depresso che insegna Civiltà Antiche. È odiato da tutti, colleghi compresi. L’incarico di tenere d’occhio gli alunni rimasti è una punizione. Lui la vive con abbandono.
La convivenza forzata all’interno della scuola sotto la guida di Hunham inizia proprio come un’esperienza di carcere, con ore d’aria e di studio, senza alcuno stacco dalla normalità. Il professore, interpretato da Paul Giamatti, è una sorta di Scrooge fuso con John Keating dell’Attimo fuggente. Tanta buona volontà educativa in un carattere severissimo. Il Natale anche qui c’è, è ben presente sullo sfondo e nella scansione temporale a capitoli. Di tanto in tanto le didascalie mostrano le date del calendario e i giorni di convivenza forzata. Più che un momento di festa sembra però una condanna. Bisogna celebrarlo in qualche modo, ma nessuno dei pochi ospiti della scuola sa come farlo. Tentano le solite azioni natalizie come fare l’albero, scambiarsi dolcetti, regalarsi libri, ma nessuno ha granché voglia di entrare in quello spirito. Non li aiuta neanche Mary, la cuoca della scuola che ha perso il figlio, ex alunno dell’istituto, in guerra.
Come il genere richiede, i ragazzi indossano maschere da duri che cadono lungo il corso dei giorni. I più facoltosi cercano di convincere i genitori a cambiare idea e portarli a sciare. I più piccoli si sentono abbandonati e se la fanno addosso a letto. Festeggiare il Natale è l’ultima delle loro preoccupazioni, quello che conta è sopravvivere al Natale. Nel farsi compagnia, nel cercare di navigare quella situazione, vengono fuori i tratti distintivi di ciascuno: la parte più vera nascosta sotto il perbenismo della facoltosa istruzione che stanno ricevendo. Questi studenti sono destinati ad essere la classe dirigente di domani. Sono futuri ministri, giudici, medici, pieni di inquietudini non risolte. Riuscirà il disilluso professore ad aiutarli a fare pace con le proprie inquietudini?
Un film di una tenerezza che conquista
La premessa pare quella di un film di John Hughes. La trama si articola in uno spazio ben preciso, un tempo fuori dall’ordinaria routine di uno studente. C’è una sospensione delle attività didattiche e un gruppo “detenuto” nelle aule con una figura adulta (un po’ alla The Breakfast Club). Convivere o lottare, non c’è via di mezzo. Da questa situazione i muri si abbattono. Si cresce. Il fatto che The Holdovers sappia fortemente di già visto è la critica più pesante che si può porre al film.
Per il resto, Alexander Payne confeziona un feel good movie stracolmo (forse troppo) di simboli, situazioni, suggestioni che il più delle volte arrivano a segno. Un film di una tenerezza che conquista, con una sincerità invidiabile e una messa in scena pregevole. Una riflessione sul Natale e sulla fine dell’anno sorprendente, che si fonde bene con le vite dei suoi personaggi senza indugiare nella nostalgia. Vuole molto il regista dal suo film e, anche se non riesce a raccogliere tutto (ci sono dei comprimari che potevano essere raccontati meglio), costruisce bene il mondo all’inizio degli anni ’70.
Una nota di merito va alla colonna sonora, ricca di brani mai banali. Un po’ come faceva Richard Linklater con Tutti vogliono qualcosa, anche The Holdovers diventa un film che si muove liberamente in lungo e in largo dentro un mondo e le sue atmosfere. Ottenuto questo, la durata non è più importante. Che siano due, tre, quattro ore o anche il tempo di una serie tv, per opere come questa arrivare alla fine è per lo spettatore poco importante. Il godimento viene infatti dall’assorbire tutta la sua peculiare atmosfera e passare del tempo, appunto, con i suoi personaggi.
I film di formazione tra le high school e il college hanno tutte delle loro convenzioni. The Holdovers le mantiene solo fino alla prima parte. Dalla metà in poi si trasforma in una sorta di buddy movie. Azzeccata l’idea di ridurre i personaggi, il film si regge in piedi nei duetti tra Angus Tully, studente dal passato misterioso, e il suo professore. Non ci fosse Paul Giamatti, il film di Alexander Payne sarebbe poca roba. Invece, l’attore riesce a dare forma a un personaggio realmente indimenticabile. Un sapiente che parla solo per frasi fatte (certo, fatte da filosofie e poeti del passato) con un corpo “non adatto per la seduzione” pieno di malattie, inestetismi e malinconia. Maestro e allievo si cambieranno a vicenda, questo lo si prevede; è il “come” lo fanno che riesce ancora a sorprendere.
Una storia di persone fragili e di menti ferite
The Holdovers e la sua patina vintage lavora tanto sugli spazi vuoti che sono anche solitudini esistenziali. Ha tutto quello che ci si aspetta: ironia, buoni sentimenti (senza buonismo), personaggi memorabili, ambienti iconici. In quella che sarebbe la tipica costruzione del film per tutti all’americana, quello che ha un pubblico vastissimo e che bene o male riesce a parlare ad una platea molto ampia, la regia riesce a trovare delle asprezze, dei passaggi più complessi di quello che ci si aspetterebbe, che riescono ad elevare il film a un classico contemporaneo. Per lo più con una grande impronta d’autore.
Senza ombra di dubbio The Holdovers – Lezioni di vita è uno dei più bei film natalizi degli ultimi 20 anni. La ragione sta proprio nella sua fattura. Ha un attore protagonista che ci crede tantissimo (e che dovrebbe concorrere agli Oscar). Possiede una grande consapevolezza degli elementi distintivi dei generi entro cui si muove. Ricrea un’epoca come se fosse un ricordo. Arriva a riprendere con grande potenza sia i momenti più emotivi che le piccole cose: una fotografia perduta, una valigia da fare e disfare, i libri di testo.
Una storia di persone fragili, di menti ferite. Questi abbandonati si fanno compagnia a vicenda, non senza un po’ di imbarazzo, e si rendono persone migliori. Il Natale lo festeggiano poco e in maniera disordinata. Imitano le azioni di festa che fanno le famiglie tradizionali senza avere lo stesso trasporto emotivo. Loro diventano così una famiglia scalcagnata, slegata per i legami di sangue, unita dalla necessità. Eppure quello spirito di rinascita e nuove opportunità è presente, seppur nascosto, nei giorni che trascorrono insieme. Starà a loro trovarlo e farsi influenzare. Non è questo il senso delle feste?