Vedere Ryan Gosling e Chris Evans insieme nello stesso film è come un doppelgänger hollywoodiano che vede protagonisti due divi affini eppure diametralmente opposti che si affrontano, colpiscono e feriscono a mani nude. E tutto questo accade in The Gray Man, il nuovo film dei fratelli Anthony e Joe Russo – già artefici Marvel di successo, come hanno dimostrato nei due capitoli Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame – che qui ritrovano, in questo nuovo e adrenalinico adattamento di un romanzo di Mark Greaney, il sodale Chris “Captain America” Evans e la new entry (ma solo per il loro microcosmo) Gosling, accompagnati anche da Ana de Armas (No Time to Die, Acque profonde), Billy Bob Thornton e il Duca di Hastings (direttamente da Bridgerton) Regé-Jean Page, tutti al centro di questo teso action thriller targato Netflix, in cinema selezionati dal 13 luglio e disponibile su Netflix dal 22 luglio.
Il The Gray Man del titolo è l’agente della CIA Court Gentry (Gosling), alias Sierra Six. Strappato da un penitenziario federale e reclutato dal suo responsabile, Donald Fitzroy (Thornton), Gentry in passato era un mercenario autorizzato dall’Agenzia altamente qualificato. Ma ora la situazione è cambiata e l’obiettivo è Six, braccato in tutto il mondo da Lloyd Hansen (Evans), un ex agente della CIA a sua volta, che non si fermerà davanti a nulla pur di eliminarlo. Con l’unico aiuto dell’agente Dani Miranda (de Armas), sodale e sempre al suo fianco, cercherà di sfuggire al proprio, inevitabile, destino.
Con The Gray Man i Russo non cercano assolutamente di compiacere una nuova porzione di pubblico, anzi: la loro volontà sembra piuttosto quella di rassicurare gli spettatori più affezionati, tutti gli amanti Marvel che già piangono la dipartita di Chris Evans dalla “maschera” di Cap. E per farli restare comodamente seduti sulle loro poltroncine per due ore, quale soluzione migliore se non offrire all’attore un ruolo inedito, sornione e cattivo al punto giusto? I personaggi di The Gray Man, infatti, sono interessanti soprattutto sul piano drammaturgico: in un thriller ad alto budget dal gusto pirotecnico e scoppiettante, pur delineandosi come “tipi fissi” funzionali all’economia della storia, i protagonisti sono capaci di mantenere il ritmo senza perdere la proprio identità, come in un’evoluzione naturale – e postmoderna – del manicheismo tipico delle spy stories, dei tanti Bond (ed epigoni) che nel corso degli anni hanno invaso la storia del cinema. Così, ad un Evans inedito, baffuto, sadico e sopra le righe, fa da controcanto un Ryan Gosling compassato e granitico, anch’esso evoluzione naturale degli anti-eroi già interpretati sul grande schermo dall’attore (i refniani Drive e Solo Dio perdona, Come un tuono) ma contaminato da una vena d’umorismo che finisce per pervadere l’intero prodotto.
The Gray Man porta l’indelebile marchio dei Russo alla regia, alla quale ben si addice un aggettivo specifico: iperbolica. E nel corso della narrazione le scene che si avvicendano diventano sempre più pirotecniche, paradossali, eccessive, grafiche, nel segno di un post-modernismo pop e di maniera che accomuna molto cinema attuale, soprattutto quello distribuito sulle piattaforme. Prodotti ad alto budget che mirano a soddisfare il piacere retinico dello spettatore sacrificando lo storytelling in favore delle immagini, dell’incalzante susseguirsi di coreografiche scene in un ritmo vertiginoso che impedisce, categoricamente, di sviluppare ogni tipo di riflessione più profonda e articolata.
Divertissement spettacolare, The Gray Man gode di una regia ispirata e scoppiettante, affascinante nei suoi movimenti di macchina articolati, nelle sue inquadrature impossibili e in quel gusto particolare per una full immersion totale – e in soggettiva – che ricorda, da vicino, il mondo videoludico (o i suoi più recenti adattamenti audiovisivi, come nel caso di Uncharted). Ma una regia simile è forte, soprattutto, di una fotografia strabiliante, gravida di colori saturi e giochi cromatici che risucchiano lo spettatore fin nel cuore della rutilante vicenda, letteralmente trascinandolo via dal buio ermetico che accompagna la visione del film, sia in sala che nel salotto di casa.
The Gray Man è, quindi, un giocattolo maestoso, iperbolico ed opulento che nasconde, però, un cuore segreto da Golem fragile: come il gigante della tradizione ebraica, ha un corpo forte ma anche degli effimeri piedi d’argilla, che nel caso del film coincidono con una trama esile, comune a tanto cinema già visto nel corso degli anni e incapace di veicolare – o rielaborare in modo creativo – nuovi contenuti. Senza un significato ulteriore, alla creatura dei Russo non resta altro che predicare il verbo dell’intrattenimento magniloquente, che seduce lo spettatore finendo però per lasciarlo emotivo e distante, sopraffatto dalle immagini ma non sedotto – e neppure abbandonato – dalle parole.