lunedì, Dicembre 4, 2023
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Talk to Me, recensione dell’horror diretto da Danny e Michael Philippou

La recensione di Talk to Me, opera prima di Danny e Michael Philippou con protagonista Sophie Wilde. Dal 28 settembre al cinema.

L’horror è una lente puntata sulla realtà che ne restituisce un riflesso deformato, verosimile ma distorto dai canoni del genere. E nella No-Man’s Land dei generi (appunto) tutto è plausibile, anche usare l’eccesso per raccontare il quotidiano e, nello specifico dell’orrore, le paure più recondite e inconfessabili che si annidano nel buio della psiche, nell’ombra cieca dei tabù scomodi e spaventosi perché sovvertono regole sociali, etica borghese e convenzioni.

Una lezione che, relativamente di recente, ha raggiunto il suo acme nella vittoria del Premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale assegnato a Jordan Peele, autore della sua dirompente opera prima Scappa – Get Out, con la quale ha inaugurato un nuovo dialogo tra la settima arte e il presente, mettendo a fuoco temi caldi della contemporaneità come il ruolo degli afroamericani nella società statunitense e le questioni razziali (riprese poi in Noi, la sua opera seconda).

I gemelli Danny e Michael Philippou non si collocano proprio nel solco tracciato da Peele; in fondo, sono due giovani YouTuber che hanno iniziato a raccogliere intorno a loro diversi appassionati ed estimatori attraverso i video caricati sul loro canale RackaRacka, prima di approdare sul grande schermo grazie alla A24, la casa di produzione indipendente (fautrice del successo di Everything, Everywhere All at Once) che ha scelto di finanziare la loro opera prima, Talk Tto Me, il dirompente horror che sta scuotendo il pubblico statunitense, raccogliendo l’endorsement di numerosi nomi noti dello star system.

Nel film, un gruppo di giovani ragazzi si imbattono in una serie di video virali che ritraggono gli effetti sconvolgenti di un gioco al limite del soprannaturale: una seduta spiritica in cui il soggetto entra in contatto con gli spiriti dell’aldilà attraverso una mano imbalsamata che funge da portale tra i due mondi. In cerca di una distrazione nell’anniversario della morte di sua madre, l’adolescente Mia (Sophie Wilde) e il suo gruppo di amici decidono di cimentarsi in questa prova di coraggio, seguendo il rituale. Presto però la situazione sfugge di mano: mentre si sfidano ad aprire di continuo il varco che collega vivi e morti, finiscono per superare i 90 secondi di durata massima di evocazione degli spiriti infrangendo la regola principale del rituale, vivendo un’esperienza sconvolgente di puro terrore.

Una drammaturgia marginale

Talk to Me è un racconto dell’orrore, nel quale letteralmente la paura, l’angoscia e l’ansia passano sottopelle attraversando nervosamente i personaggi e le loro reazioni, catalizzate dall’improvvisa presenza di un sinistro manufatto (la mano imbalsamata – e ricoperta di ceramica – di una potente medium) che ne veicola gli effetti, fino a renderli dirompenti e pericolosi. Queste premesse da creepy pasta della Generazione Z non approfondiscono troppo le backstories né dei personaggi, tantomeno della mano “stregata” e delle sue origini.

Una precisa scelta narrativa dettata dalla voglia di girare un sequel (già in cantiere), o una decisione che asseconda lo spirito dei tempi? Sì, perché in Talk to Me la drammaturgia rimane abbastanza marginale: a contare sono le suggestioni, le inquietanti atmosfere che si creano man mano che i protagonisti – Mia, Jade, Daniel, Riley – scendono in un maelstrom di orrido e perturbante, sempre più consapevoli che forse è meglio tener chiuse certe porte.

E quest’immagine della porta è fondamentale, au contraire, ai fini narrativi, perché il film dei Philippou gioca proprio con il confine sottile – e sfumato – tra il mondo dei vivi e quello dei morti, assorbendo a posteriori la lezione impartita da M. Night Shyamalan con Il sesto senso: i defunti sono tra noi, e quando entrano nelle nostre vite c’è il rischio che non tutti siano innocui e in cerca d’aiuto.

Lo spiritismo come pretesto per raccontare la realtà

Lo spiritismo diventa così un pretesto per approfondire la vera backstory che interessa i due registi (e gli spettatori), quella di mia, che ha perso la madre in un tragico incidente domestico (forse) ma non si rassegna ad accettare le logiche del lutto. Ecco quindi che l’horror usa i propri codici di genere per raccontare le difficoltà dell’elaborazione del lutto soprattutto durante l’adolescenza, sottolineando con enfasi le difficoltà legate alla salute mentale e alla ricerca di un equilibrio in particolari situazioni della propria vita. Evocare i defunti diventa una sorta di dipendenza per i giovani protagonisti, una metafora potente della possibilità di trasformarsi in “passeggeri lucidi della propria vita”, evocando lo spettro dell’eroina e di altre droghe sintetiche contemporanee.

Dal punto di vista registico, i fratelli Philippou hanno la velocità del mondo dei videoclip caricati su YouTube dalla loro parte, ma anche le soluzioni visive giuste per creare un’esperienza immersiva per lo spettatore: sanno come scrivere attraverso le immagini, mentre ad essere più confusa è proprio la ricerca di una drammaturgia solida, capace di creare un background forte di temi, obiettivi e personaggi dai quali partire per raccontare la storia – sullo schermo – di Talk to Me. I vari characters diventano così funzionali all’evocazione di un mondo attraverso i canoni del genere horror, marionette nelle mani di artigiani che hanno del potenziale grezzo tra le mani destinato a brillare, magari con il coraggio di rompere le regole (non scritte) di algoritmi e mercati audiovisivi stanchi, che guardano a determinate porzioni di pubblico nella speranza di catalizzare gli incassi.

Talk to Me è un film che, senza dubbio, funziona, costellato di buonissimi momenti squisitamente dell’orrore che pagano però il prezzo di un ritmo frammentario, di un interesse intermittente fiaccato dalla mancanza – netta, precisa e forse anche didascalica – di obiettivi e temi narrativi ben esposti. Certo, senza dubbio i momenti disturbanti (orchestrati ad arte dai Philippou) contribuiscono a suscitare repulsione e orrore negli spettatori: missione compiuta quindi, dimostrando ancora una volta quanto questo genere – declinato in ogni sua sfumatura – abbia ancora molto da raccontare al grande pubblico.

Guarda il trailer ufficiale di Talk to Me

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Talk to Me è un film che, senza dubbio, funziona, costellato di buonissimi momenti squisitamente dell’orrore che pagano però il prezzo di un ritmo frammentario, di un interesse intermittente fiaccato dalla mancanza – netta, precisa e forse anche didascalica – di obiettivi e temi narrativi ben esposti. Certo, senza dubbio i momenti disturbanti (orchestrati ad arte dai Philippou) contribuiscono a suscitare repulsione e orrore negli spettatori: missione compiuta quindi, dimostrando ancora una volta quanto questo genere – declinato in ogni sua sfumatura – abbia ancora molto da raccontare al grande pubblico. 
Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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Talk to Me è un film che, senza dubbio, funziona, costellato di buonissimi momenti squisitamente dell’orrore che pagano però il prezzo di un ritmo frammentario, di un interesse intermittente fiaccato dalla mancanza – netta, precisa e forse anche didascalica – di obiettivi e temi narrativi ben esposti. Certo, senza dubbio i momenti disturbanti (orchestrati ad arte dai Philippou) contribuiscono a suscitare repulsione e orrore negli spettatori: missione compiuta quindi, dimostrando ancora una volta quanto questo genere – declinato in ogni sua sfumatura – abbia ancora molto da raccontare al grande pubblico. Talk to Me, recensione dell'horror diretto da Danny e Michael Philippou