Nel linguaggio comune, la parola supernova – al di là della sua connotazione puramente scientifica – indica la potenza di qualcosa di ignoto. In effetti, è proprio incontro all’ignoto che si ritrovano Sam e Tusker, i protagonisti del drammatico Supernova, scritto e diretto dal britannico Harry Macqueen (attivo soprattutto in campo teatrale) e presentato nella Selezione Ufficiale di RomaFF15, la 15esima edizione della Festa del Cinema di Roma. Sam e Tusker (pianista il primo, scrittore il secondo) sono una coppia da oltre 20 anni, ma da quando a Tusker è stata diagnosticata la demenza precoce, le loro vite sono cambiate. In viaggio attraverso l’Inghilterra con il loro camper alla riscoperta dei luoghi del loro passato, per i due arriverà il momento di affrontare le conseguenze della malattia e le incertezze del futuro.
Di storie d’amore strappalacrime incentrate sull’ancestrale connubio tra amore e malattia, l’industria cinematografica n’è davvero piena. Da questo punto di vista, Supernova non rappresenta certamente una produzione innovativa, ma riesce comunque a destare interesse per un motivo ben preciso: in questa tipologia di drammi, i protagonisti sono quasi sempre un uomo e una donna. Ben venga, dunque, quando l’occhio della macchina da presa decide di rivolgere il proprio sguardo ad una coppia omosessuale, cercando di rappresentarla da un punto di vista che per certi aspetti potrebbe essere considerato inedito: in Supernova, infatti, non c’è spazio per l’ossessione del corpo, l’abuso di droghe o le relazioni poliamorose (tutti stereotipi abusati nel cinema LGBTQ+), ma soltanto per la rappresentazione dell’amore puro e autentico tra due uomini messi di fronte ad un inesorabile destino e ad una delle scelte più dolorose che la vita potrebbe spingerci a dover compiere, esattamente come avverrebbe tra una qualsiasi coppia eterosessuale.
Al di là di questo nobile intento, però, Supernova – come abbiamo già preannunciato – non è un film particolarmente originale. Tutta la pellicola si regge esclusivamente sul talento comprovato e sconfinato dei suoi monumentali protagonisti: Colin Firth e Stanley Tucci riescono con convinzione – e anche con una certa dose di tenerezza e naturalezza – a dare vita a tutte quelle dinamiche che delineano un rapporto d’amore che dura ormai da tutta una vita. I loro caratteri opposti definiscono l’intera struttura narrativa dell’opera: Sam e Tusker si amano immensamente, di un amore che forse non sembra più esistere al giorno d’oggi, e come tutte le coppie innamorate ridono, litigano, dormono abbracciati e si tengono per mano, perdendosi in tutta una serie di gesti quotidiani e reiterati che solo davanti all’inevitabile acquistano – purtroppo – un valore ancora più importante.
Ma non sono soltanto le loro personalità ad essere opposte: lo è anche il ruolo che i due si ritrovano a dover interpretare nel gioco beffardo di cui il destino li ha resi involontari e disarmati protagonisti, così come sono opposte anche le reciproche volontà in merito all’evoluzione del loro rapporto e a ciò che il futuro ha in serbo per loro: Tusker, testardo per indole, vive con estrema rispettabilità la sua condizione, deciso a non volere che le persone (e soprattutto l’amore della sua vita) si ricordino di lui per la persona che diventerà, ma esclusivamente per la persona che è stata; Sam, sulle cui spalle “poggia il mondo intero” (come viene esplicitato proprio nel film), è forse l’ago della bilancia attraverso cui la sceneggiatura riesce ad esprimere maggiormente la complessità della situazione rappresentata, quando ci si ritrova a dover fare i conti con una diagnosi che ha messo (e che continuerà a mettere) in discussione un rapporto che si credeva inattaccabile. Forse, tra i due, è proprio quello di Sam il personaggio con cui lo spettatore riesce ad entrare maggiormente in empatia: come si può accettare che l’amore della tua vita possa dimenticare da un giorno all’altro chi sei? Come si può accettare che, guardandoti dritto negli occhi, possa non riconoscerti più?
Supernova è un film che vive degli sguardi, delle carezze, degli abbracci di due uomini costretti a fare i conti con il dolore e con la perdita, che soffrono per i rispettivi destini e che accettano con commovente dignità la fine del loro tempo. L’alchimia tra Firth e Tucci (quest’ultimo chiamato ad una delle prove certamente più convincenti della sua carriera) è incredibile: c’è qualcosa di assolutamente sorprendente, e al tempo stesso adorabile, che i due attori riescono a creare quando appaiono insieme sullo schermo. Di fronte al talento dei suoi interpreti e alla sofferenza dei loro personaggi, la regia di Macqueen scompare, si annulla, totalmente al servizio di due fuoriclasse in grado di riempire con la potenza delle loro espressioni ogni singolo fotogramma, parcellizzando la raffinatezza e la delicatezza che comunque pervado l’intera opera.