domenica, Giugno 4, 2023
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Spider-Man: No Way Home, recensione del film con Tom Holland

La recensione di Spider-Man: No Way Home, l'atteso cinecomic Marvel/Sony con Tom Holland e Benedict Cumberbatch. Dal 15 dicembre al cinema.

Spider-Man: No Way Home è il titolo del cinecomic più atteso della stagione cinematografica, un prodotto targato Marvel/Sony che riporta, davanti alla macchina da presa, Tom Holland nei panni del simpatico “supereroe di quartiere” amato dalla comunità e soprattutto dai suoi migliori amici, nei cui panni si calano ancora una volta Zendaya (MJ, interesse amoroso di Peter Parker) e Jacob Batalon (il suo migliore amico Ned).

Ad affiancare questo terzetto giovane e dinamico c’è un “veterano” come Benedict Cumberbatch, che veste ancora una volta i panni – e soprattutto il mantello – dello stregone supremo Doctor Strange, pronto a tornare molto presto come protagonista dell’omonimo Doctor Strange in the Multiverse of Madness. Insieme a loro, in questo viaggio che approderà nelle sale dal 15 dicembre, appariranno di nuovo sullo schermo anche Alfred Molina, Willem Dafoe e Jamie Foxx, riprendendo i loro ruoli iconici di Doctor Octopus, Green Goblin ed Electro.

Per la prima volta nella storia di Spider-Man sul grande schermo, l’amichevole eroe di quartiere amato da tutti è smascherato da Mysterio (già visto in Spider-Man: Far From Home) e non può più separare la sua vita privata dal peso e dall’onere di essere un supereroe dalle grandi responsabilità. Quando chiede aiuto al Doctor Strange per riparare gli effetti devastanti che la notizia sta avendo sulla sua vita e su quella delle persone che ama, la posta in gioco si fa sempre più rischiosa e lo porterà a scoprire cosa significa realmente essere Spider-Man.

Se già la Sony aveva iniziato, con i precedenti capitoli, un percorso ben specifico volto a narrare l’evoluzione progressiva della figura di questo giovanissimo Spider-Man adolescente, un “bimbo-ragno” alla ricerca di se stesso e di un suo posto “al sole” nella società e nell’empireo dei supereroi, con questo nuovo film firmato idealmente a quattro mani da Sony e Marvel il percorso è ormai compiuto. Peter Parker è cresciuto, sta uscendo dalla propria “lunga infanzia” ed è pronto ad affrontare situazioni importanti prendendo delle decisioni in totale autonomia, privo della presenza rassicurante di mentori al suo fianco (ruolo che ricoprì, ad esempio, Tony Stark/Iron Man).

Peter è uno Spider-Man in fieri, che costruisce progressivamente il proprio mito sotto lo sguardo vigile dello spettatore, prendendo man mano il controllo della propria vita sovraesposta – soprattutto a livello mediatico – da supereroe che vive nell’era del “post blip”, tornato lui stesso dopo il fatale schiocco delle dita di Thanos avvenuto in Avengers: Infinity War. Ed ecco quindi che Spider-Man: No Way Home assume una sfumatura ben specifica, un ruolo cardine quanto inedito non solo nel MCU ma nel percorso complesso di evoluzione del personaggio stesso.

In una macroscopica mappa dei film Marvel, questo nuovo progetto incarna alla perfezione l’essenza della nuova Fase 4 capace di ampliare gli orizzonti narrativi, permettendo in tal modo al fumetto di “varcare” il confine stesso della gabbia che contiene i disegni e le storie, regalando nuove avventure e una galleria sfaccettata – e potenzialmente infinita – di personaggi alle prese con dinamiche non più aderenti all’universo stesso dei fumetti dove sono nati, ma ad archi narrativi ben più complessi e strutturati.

Se già la serialità di WandaVision e Loki aveva aperto le porte al concetto di “Multiverso”, a Spider-Man: No Way Home spetta il compito di spalancarle, di introdurre quest’idea complessa nell’immaginario dello spettatore. In tal modo il pubblico inizia ad abituarsi alla possibilità di una coesistenza di molteplici realtà in contemporanea, tutte dotate di un potenziale narrativo dirompente e stratificato; realtà che potrebbero riscrivere l’epos alla base dei racconti Marvel, con protagonisti novelli eroi omerici alle prese con tradizionali imprese titaniche riscritte, però, attraverso lo sguardo lucido e disinibito della post-modernità.

I supereroi odierni sono la trasposizione degli universi tradizionali costruiti sui canti e le gesta narrate nella mitologia, nell’epica arcaica, nei cicli raccontati da popoli distanti tra loro – nello spazio e nel tempo – ma accomunati da una necessità comune: quella della parola, del Logos che si fa portavoce naturale di mirabolanti imprese umane (troppo umane), capaci di sublimare le debolezze elevandole alla sfera del mito. Già Eternals ha recentemente messo in pratica questa riscrittura dell’epica, coadiuvata però alla necessità di originarne una nuova, sempre post-moderna; ma Spider-Man: No Way Home ha invece il pregio di non perdere la propria natura di film di puro intrattenimento, di balocco “guilty pleasure” tanto per i fan accaniti quanto per i cultori del fumetto e per i neofiti.

Non mancano, nel corso dei 148 minuti del film, battute e gag, momenti brillanti che stemperano l’essenza più profonda dell’operazione aprendola alla comprensione popolare, al divertimento collettivo della sala che si trasforma in un corpo unico caldo e pulsante, vivo e pronto a rispettare – con complicità – le regole di un gioco fissato dalla Marvel stessa. Se il Multiverso era stato solo accennato o pre-annunciato fino ad oggi, con il nuovo capitolo di Spider-Man esplode in tutto il suo splendore pericoloso, anticipando quel brivido che si prova di fronte alle infinite probabilità dell’ignoto tanto da permettere ai Marvel Studios di ballare ormai da soli, svincolati dalle rigide regole di gabbie e storyline.

Ma dietro l’appeal da balocco sbalorditivo, da sofisticato piacere retinico e videoludico indotto dalla magnificenza delle immagini orchestrate da Jon Watts dietro la macchina da presa, come pure dietro le scene d’azione coreografate in scenografici e opulenti tripudi di VFX e stunts, batte un cuore più profondo e complesso in Spider-Man: No Way Home.

Un cuore che ne giustifica le apparenti debolezze collocandole in un’ottica più articolata e strutturata, legata al concetto di viaggio dell’eroe: Peter Parker è alle prese con un viaggio (appunto) di formazione – il suo – che lo porta a crescere nel corso del film, a sbocciare progressivamente da adolescente impacciato (ma investito da un oneroso compito) a giovane uomo consapevole dei propri mezzi e, soprattutto, del proprio compito nei confronti della collettività.

La sceneggiatura, che può in apparenza sembrare fragile ed esile, si rivela in realtà funzionale e metaforica per narrare una sotto-trama complessa, con l’eroe protagonista che sfida gli acerrimi nemici per preservare ciò che ama dal male, coadiuvato dagli aiutanti magici che lo sostengono nell’impresa, fino a compiere un percorso di formazione/costruzione della propria consapevolezza. E tutto questo non è altro che lo schema teorizzato dal linguista e antropologo Vladimir Propp, comune alla maggior parte delle fiabe e ancora alla base della maggior parte delle narrazioni dell’era moderna.

La capacità più importante è quella di riuscire ad applicarlo ancora oggi, declinandolo in innumerevoli sfumature, proprio come ha dimostrato la Marvel – e in particolare il regista Watts e gli sceneggiatori Chris McKenna ed Erik Sommers – per questo nuovo capitolo delle avventure del (fu) “bimbo-ragno”, ora giovane eroe consapevole della potenza della frase “Da grandi poteri, derivano grandi responsabilità”, vero e proprio mantra essenziale per decifrare il rompicapo acido e visionario delle immagini – e delle situazioni – inanellate da Spider-Man: No Way Home.

Perché per crescere è necessario acquisire la consapevolezza del proprio ruolo e del peso che hanno le scelte che si compiono; scelte e decisioni che possono avere un impatto sull’esistenza degli altri (anche di chi amiamo), comportando delle perdite o dei cambiamenti drastici difficili da accettare. Ma crescere è anche questo: affrontare il concetto di “fine”, di conclusione di un ciclo, abbracciandolo mentre ci si prepara ad affrontare un nuovo capitolo della propria (super)esistenza.

Guarda il trailer ufficiale di Spider-Man: No Way Home

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Spider-Man: No Way Home assume una sfumatura ben specifica, un ruolo cardine quanto inedito non solo nel MCU ma nel percorso complesso di evoluzione del personaggio stesso: questo nuovo progetto incarna alla perfezione l’essenza della nuova Fase 4 capace di ampliare gli orizzonti narrativi, permettendo in tal modo al fumetto di “varcare” il confine stesso della gabbia che contiene i disegni e le storie, regalando nuove avventure e una galleria sfaccettata – e potenzialmente infinita – di personaggi.
Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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Spider-Man: No Way Home assume una sfumatura ben specifica, un ruolo cardine quanto inedito non solo nel MCU ma nel percorso complesso di evoluzione del personaggio stesso: questo nuovo progetto incarna alla perfezione l’essenza della nuova Fase 4 capace di ampliare gli orizzonti narrativi, permettendo in tal modo al fumetto di “varcare” il confine stesso della gabbia che contiene i disegni e le storie, regalando nuove avventure e una galleria sfaccettata – e potenzialmente infinita – di personaggi.Spider-Man: No Way Home, recensione del film con Tom Holland