Sound of Metal è il debutto, dietro la macchina da presa, del montatore e sceneggiatore Darius Marder, che aveva già collaborato con il regista Derek Cianfrance (Blue Valentine; La Luce Sugli Oceani) nella realizzazione dello script per Come un Tuono. Quest’ultimo aveva già avuto l’idea per il soggetto di Sound of Metal basandosi sulla propria personalissima esperienza da batterista affetto da acufene, ma a causa degli impegni successivi al suo primo film Blue Valentine, aveva poi deciso di “regalare” la storia al suo fidato collaboratore. In tal modo Marder si è ritrovato a girare questa storia di dolorosi cambiamenti e sfide personali che vede protagonisti Riz Ahmed (già visto in Venom), Olivia Cooke e Mathieu Amalric ed è disponibile in streaming su Amazon Prime Video dallo scorso 4 dicembre.
Il film è incentrato su Ruben (Riz Ahmed), un batterista che suona in un duo musicale punk-metal insieme alla cantante Lou (Olivia Cooke), che è anche la sua ragazza. Il giovane, dopo anni passati a combattere contro la dipendenza da eroina, è finalmente pulito e disintossicato: ma all’improvviso, durante un tour, si rende conto di avere problemi di udito. Solo dopo una visita da uno specialista, Ruben scopre drammaticamente che quegli episodi sporadici saranno sempre più frequenti e lo condurranno alla sordità se non eseguirà un delicato intervento per un impianto. In attesa di racimolare i soldi necessari per l’operazione, il ragazzo – aiutato e sostenuto dalla fidanzata – decide di reagire allo sconforto rivolgendosi ad una comunità di persone non udenti, nella quale Ruben viene accettato e nella quale inizierà a confrontarsi con i suoi stessi demoni e con l’incapacità di trovare un delicato equilibrio tra la sua vecchia vita e la nuova condizione che sta vivendo.
Sound of Metal è un doloroso viaggio nel caotico inferno interiore che alberga in ognuno di noi, un mondo oscuro che cerchiamo di tenere sotto controllo ma che può deflagrare da un momento all’altro: per il protagonista Ruben, la scintilla divoratrice è rappresentata dalla condizione improvvisa in cui viene catapultato, un silenzio assordante che lo avvolge allontanandolo dal vecchio sé e proiettandolo in un futuro incerto. La perdita dell’udito diventa una metafora, l’allegoria delle difficoltà di lasciarsi alle spalle il passato per accettare il cambiamento: per crescere c’è bisogno di scendere a patti con se stessi e di abbandonare, a malincuore, ciò che abbiamo amato ma che ormai non corrisponde più alla nostra proiezione nel presente. Ancora una volta, viene sottolineato un concetto fondamentale: nessuno di noi è “rotto”, un oggetto fragile da aggiustare; dobbiamo solo imparare ad accettare noi stessi e a volerci bene, mostrandoci l’indulgenza necessaria per accettare i nostri limiti e le debolezze che ci accompagnano.
Uno dei punti cardine del film è l’uso che Darius Marder fa del sonoro: perché se la regia corrisponde agli standard tipici del film indipendente, è il tappeto sonoro del film a fare la differenza, riflettendo la psicologia e i drammi personali vissuti da Ruben. Si può parlare, a tutti gli effetti, di un punto di vista sonoro che si alterna nel corso della visione: lo spettatore condivide quello di Ruben e poi quello esterno dell’osservatore privilegiato, del voyeur che spia dal buco della serratura la vicenda privata – e il dramma intimo – di un giovane uomo che lotta prima di tutto contro se stesso, oltre che con un disturbo invalidante. Il punto di vista sonoro del batterista riflette gli acufeni, il sibilo insistente che disorienta l’udito; poi il silenzio via via sempre più assoluto fino ad una totale mancanza di suoni, che ristabilisce un primato retinico restituendo all’immagine-cinema il suo ruolo fondamentale.
Lo spettatore ascolta il suono del silenzio e i rumori distorti dell’esterno condividendo con Ruben il dolore dilaniante di vivere una condizione a metà, bloccato com’è nella ricerca del proprio posto in un mondo rutilante, frenetico e caotico; un mondo vorace e veloce capace di divorare, cambiare e corrompere in tempi brevissimi, nel quale ritagliarsi un angolo di pace – anche se in estreme difficoltà – diventa una missione e un privilegio, una “benedizione” in tempi difficili che spingono sempre di più, come forze centrifughe, a scappare lontano da se stessi. Riz Ahmed, protagonista di Sound of Metal, per calarsi nel migliore dei modi nei panni di Ruben ha preso lezioni di batteria e studiato la lingua dei segni americana: il risultato è una performance vibrante, dolorosa ed espressiva, capace di sfruttare tutte le forme di comunicazione visiva – i movimenti del volto, delle mani, le espressioni degli occhi – per comunicare nel migliore dei modi all’esterno un dolore eterno, profondo e dilaniante come quello che prova l’uomo di fronte al mistero dell’incertezza e della perdita.