Con ogni probabilità, Songbird, il film diretto da Adam Mason e prodotto da Micheal Bay, verrà ricordato per due motivi: in primis, perché la prima pellicola ad essere girata a Los Angeles dopo la prima fase della Pandemia che ancora oggi continua a incidere sulle nostre esistenze; inoltre, si tratta forse del primo vero e proprio film “strutturato” che affronta (e chissà, forse a suo modo cerca anche di esorcizzarne la paura) il virus Covid-19, immaginandosi una sua evoluzione drammatica, che per fortuna attualmente non ha corrispondenze nella realtà. Da questo punto di vista, il film, uscito nei cinema il 30 giugno, passerà quindi alla storia come un instant movie capace di mettere in scena le nostre più angoscianti paure, che per un momento più o meno lungo (diciamo, il primo lockdown della primavera del 2020) hanno contraddistinto le nostre giornate forzatamente casalinghe.
Nel 2024, il virus si è evoluto (ora si chiama Covid-23) ed è diventato non solo più contagioso, ma anche più letale. La popolazione mondiale, decimata, si divide in tre categorie: i malati, prontamente messi in quarantena in strutture che tanto somigliano a campi profughi; i sani, che sono obbligati a non uscire di casa e sono tenuti sotto osservazione dalla polizia sanitaria (che sovente usa metodi poco ortodossi); gli immuni, i quali possono girare liberamente all’aperto, previo possesso di un braccialetto giallo dedicato.
È in questa realtà che scorre la vita del rider Nico (Kj Apa), un tempo assistente legale e ora costretto – per necessità, e perché appartenente alla categoria degli immuni – a fare il corriere in una Los Angeles spettrale. Quando la nonna della sua ragazza, Sara (Sofia Carson), si ammala, Nico lotta contro il tempo per cercare di trovare alla compagna un braccialetto giallo che le permetta di fuggire insieme a lui. Non sarà un’impresa facile. Troverà sulla propria strada una ricca cliente (Demi Moore) all’apparenza disponibile ad aiutarlo, ma anche il sadico capo della polizia sanitaria (Peter Stormare).
In principio è stato il mockumentary Netflix Death to 2020 a parlare – tra le altre cose – della Pandemia che ha sconvolto la contemporaneità, poi, via via, il Covid-19 è entrato direttamente o indirettamente nelle produzioni cinematografico-seriali (si pensi alle difficoltà produttive di Malcolm e Marie, oppure alla seconda parte di Your Honor, dove il Covid-19 è introdotto direttamente nel racconto). Da parte sua, Songbird sceglie di prendere un’altra strada, più in sintonia con l’alta carica distopica di un avvenimento reale che ha effettivamente minato ogni nostra certezza. Ma lo fa, non tanto acuendo il sentimento di disagio che ancora oggi proviamo nei confronti della situazione che stiamo vivendo, ma immaginandosi una realtà alternativa in cui l’umanità ha perso la sua battaglia contro il virus.
Senza nessun vaccino capace di frenarne la mortifera corsa, il virus è dilagato e, come diretta conseguenza, la società si è trasformata in una vera e propria giungla, apparentemente senza regole. Un’immagine già vista più volte sul grande e piccolo schermo, ma che nel film di Mason assume un significato diverso, proprio per la scelta di attingere dalla nostra quotidianità. Non che il film abbia la presunzione di fare della sociologia spicciola. Il contesto serve comunque al regista, anche sceneggiatore insieme a Simon Boyes, per dare una ragion d’essere a un b-movie (oltretutto fiero di esserlo) che sennò sarebbe finito nel dimenticatoio, e che invece risulta spassoso soprattutto per il suo voler essere costantemente sopra le righe.
Così, come thriller estivo da pizza e birra con gli amici, Songbird non è neanche disprezzabile. Certo, le cadute di stile e ritmo ci sono, la regia di Mason sembra troppo debitrice dell’estetica del mentore Michael Bay, e a volte si ha l’impressione che ci sia troppa carne al fuoco (attraverso un personaggio si parla anche della guerra in Afghanistan), ma tutto sommato il gioco regge fino alla fine, nonostante gli sviluppi della trama siano prevedibili. E un buon apporto lo offre anche il notevole cast, dove spicca, oltre agli attori già citati, anche Paul Walter Hauser, protagonista del film di Clint Eastwood Richard Jewell.