Con Silence, Martin Scorsese ritorna a fare i conti con la propria fede. Il materialismo (filosoficamente parlando) è il sovrano del tempo che stiamo vivendo. Non si crede se non a ciò che si vede, a volte neanche a quello. Nella nostra vita, sempre più compressa, sempre più rapida e in rapida espansione, non c’è spazio che per la sola materia. Se siamo sospettosi di ciò che vediamo, lo siamo ancora di più su ciò che non possiamo vedere; estremizzando riteniamo impossibile reputare reale quel che invece non possiamo spiegare. Quindi l’anima, il sentimento, l’irrazionalità sono spauracchi da crocifiggere. In testa a tutto c’è la fede; la fede è probabilmente uno spettro che vaga sulla terra, invisibile ed ignorato.
Martin Scorsese non è nuovo a film con tematiche religiose. Sebbene si ricordino principalmente Toro ScatenatooTaxi Driveroppure i successi più recenti insieme alla sua stella Leonardo Di Caprio, Scorsese è riuscito a porre, in alcuni suoi lavori, l’attenzione sulla religione. Silence è tratto dall’omonimo romanzo di Shūsaku Endō, autore giapponese che ha analizzato molto la tematica cristiana nelle sue opere.
Prima metà del XVII secolo. Due padri gesuiti, padre Rodrigues (Andrew Garfield) e padre Garupe (Adam Driver), partono per una spedizione in Giappone per ritrovare il loro mentore, padre Ferreira (Liam Neeson), il quale, secondo alcune voci, sembra aver abiurato la propria fede. I due gesuiti sono gli ultimi due padri che la Chiesa manderà per evangelizzare il Giappone in cui i cristiani vengono brutalmente perseguitati.
Non esistono mezzi termini: Silence è un film che banalmente o si odia o si ama. Perché lo si ama allora? Soffermiamoci solo sui parametri oggettivi. La regia, le inquadrature, la fotografia rendono questo lavoro di Scorsese tecnicamente senza difetti. Le spettacolari inquadrature dall’alto sono metaforicamente lo “sguardo di dio” sulle vicende dei personaggi. Andrew Garfield offre la sua migliore performance ad oggi: soffre, impazzisce per il dolore e gioisce con una convinzione tale che ci si domanda se anche lui sia un gesuita. Il cast di contorno è straordinario. Menzione speciale all’attore giapponese Yōsuke Kubozuka che interpreta Kichijiro, il personaggio meglio scritto del film. La profondità e l’importanza simbolica di questo ruolo meriterebbe uno studio a parte: brevemente possiamo dire che è la chiave del film, la rappresentazione della fragile umanità che si pone davanti alla fede.
Il film lo si potrebbe odiare per il tema scelto: la fede. Scorsese parla di fede e lo fa con un estrema serietà e importante gravità, ma al giorno d’oggi chi da veramente importanza alla fede? Silence è dialettico, interessante e stimolante, ma non è un film per tutti. Soprattutto chi ha ancora un po’ di spazio nella propria vita per qualcosa di invisibile e non razionale, coglierà l’occasione per ragionare sulla religione.