giovedì, Ottobre 3, 2024
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Searching recensione del thriller con John Cho e Debra Messing

Abbiamo davvero libero accesso alla sfera privata insita nel mondo tecnologico di chi ci sta a fianco? Searching, il nuovo thriller in uscita nelle sale il prossimo 18 ottobre grazie a Warner Bros. Italia, sembra sollevare proprio questo enorme dubbio etico.

In un’epoca ormai traghettata verso l’era del 3.0, tra social media sempre più evoluti, realtà virtuali potenziate e vecchi media che cercano di adeguarsi per sopravvivere, il regista d’origini indiane Aneesh Chaganty cerca di trovare delle risposte finalizzandole alla struttura e ai cliché tradizionali del thriller, finendo per realizzare un gustoso esperimento che vede protagonisti gli attori John Cho, Debra Messing, Joseph Lee e Michelle La.

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Dopo che la figlia sedicenne di David Kim (Cho) scompare, viene aperta un’indagine locale e assegnato il detective Rosemary Vick (Messing) al caso. Ma 37 ore dopo David decide di guardare in un luogo dove ancora nessuno aveva pensato di cercare, dove tutti i segreti vengono conservati: il laptop della figlia. In un thriller iper-moderno raccontato attraverso i dispositivi tecnologici che usiamo ogni giorno per comunicare, David deve rintracciare tutti i movimenti di sua figlia prima che scompaia per sempre.

Con delle premesse quintessenziali quanto ricche di suspense che eguagliano la creatività delle pellicole hitchcockiane, Chaganty – al suo debutto mainstream con un lungometraggio – cerca di giocare sicuro confezionando un thriller tradizionale, all’apparenza innocuo, che ripone il proprio potenziale nella scelta registica ben mirata.

Dietro l’egida produttiva del regista russo Timur Bekmambetov, già mente creativa dietro i due Unfriended e il drammatico Profile – presentato all’ultimo Festival di Berlino e completamente girato in screencast -, anche il giovane regista cerca di replicare il successo di questi moduli raccontando una classica vicenda di rapimento (senza riscatto) ma cambiando completamente il punto di vista.

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Searching di Aneesh Chaganty dal 18 ottobre al cinema

Perché se l’occhio della macchina da presa è da sempre la propaggine meccanica dell’occhio dello spettatore, nell’era delle nuove tecnologie la meccanica viene sostituita e rimpiazzata dal digitale, con il risultato che a cambiare è soprattutto il punto di vista. Lo spettatore non è più testimone silenzioso dei fatti e degli eventi, voyeur di lusso, spione dal buco della serratura, bensì voyeur privilegiato.

E il privilegio che gli viene concesso passa per i social media, per internet, per l’uso del computer: la focalizzazione si azzera e ci si sente in prima persona David Kim, si vive “live” il suo dramma come pretende anche certa tv del dolore sempre sul pezzo. In Searching tutto è spiato, rubato, vissuto in prima persona e mai passivamente da “voyeur della porta accanto”.

Se in un primo momento, per buona metà del film, questa scelta registica risulta straniante, insolita, a tratti fastidiosa magari, è nella seconda metà che la sceneggiatura di Chaganty e Sev Ohanian recupera notevolmente per quanto riguarda il ritmo, regalando dei colpi di scena inaspettati e ben dosati, trasformando il pubblico da guardone ben informato dei fatti di nuovo in spettatori, chiamati in causa per seguire gli snodi inaspettati di una macabra vicenda.

Searching (qui il trailer italiano ufficiale) sfrutta le potenzialità della tecnologia adattandole al genere e lasciando in sospesa la risposta a quella che è forse la vera domanda, non espressa, del film: dove sta andando oggi il cinema, nell’era de 3.0? E soprattutto come saranno le future esperienze sensoriali cinematografiche?

Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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