domenica, Dicembre 8, 2024
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Romeo è Giulietta, recensione del film di Giovanni Veronesi

Interpretato da Pilar Fogliati e Sergio Castellitto, Romeo è Giulietta arriva nelle sale dal 14 febbraio grazie a Vision Distribution.

Per San Valentino, cosa c’è di meglio che una commedia romantica per riscaldare il cuore? Sì, perché nella moltitudine di generi cinematografici saliti alla ribalta nel corso della (lunga) storia della settima arte, la rom-com è quella più “accogliente”, pronta a riscaldare – come una carezza delicata – perfino i cuori più scettici e burberi. Ma stiamo parlando anche di un genere versatile e incline alle contaminazioni, nonché di un vero Re Mida del box-office: da soli questi film incassano cifre da capogiro che altri difficilmente riescono a collezionare, forse consapevoli della forza trainante di una risata (o di un sorriso) attraverso i quali si può esorcizzare la quotidianità e le proprie idiosincrasie, dicendo perfino le verità più scomode e delicate.

In Italia siamo stati i rappresentanti di un’age d’or cinematografica che ha visto protagonista un genere del tutto autoctono, quello della commedia all’italiana, che si è poi declinato attraversato innumerevoli sfumature per sopravvivere allo scorrere del tempo, adattandosi spesso alle mode e ai diversi costumi degli italiani. È quindi inevitabile che, per la festa degli innamorati, approdi in sala una nuova rom-com intitolata Romeo è Giulietta, con protagonista una delle attrici più promettenti del panorama odierno italiano – Pilar Fogliati – affiancata da Domenico Diele, Serena De Ferrari e veterani come Sergio Catellitto, Maurizio Lombardi e Margerita Buy. Come nella migliore tradizione della commedia più leggera, la trama è esile e si muove a partire da un’idea dirompente (ma non così innovativa): il cambio d’identità, soprattutto sul palcoscenico (non solo teatrale, ma anche della vita).

Quando l’attrice trentenne Vittoria (Fogliati) viene umiliata, durante un provino, da un celebre regista alla ricerca di un’attrice per sostenere il ruolo di Giulietta nel suo prossimo allestimento teatrale, prende una decisione drastica. Coadiuvata dall’amica truccatrice (interpretata da un’irresistibile Geppi Cucciari), sceglie di travestirsi da uomo, interpretando Romeo, per smascherare l’egocentrico e cinico regista.  Ma proprio quando Vittoria si trasforma in Otto, ecco che convince tutti i presenti e viene presa per la parte, costretta in tal modo a celare la propria vera identità fino alla prima dello spettacolo. Ma la via della bugia non è, di sicuro, quella più semplice, soprattutto quando si porta avanti una messinscena nel grande spettacolo dell’esistenza.

Un’opera sul tema dell’identità e sulla ricerca di sé

Nel suo concept lineare ed efficace, Romeo è Giulietta evoca subito, nella mente degli spettatori, altri celebri titoli della settima arte: dal classico romantico Shakespeare in Love fino a Tootsie senza escludere il cult Mrs. Doubtfire, il tema del trasformismo e del cambio d’identità è da sempre uno dei più amati sullo schermo. In questa nuova veste tutta italiana, l’idea in nuce affonda le proprie radici nelle opere di Shakespeare, in quella celebre commedia che è La Dodicesima Notte che chiudeva anche le cronache – immaginarie – raccontate nel kolossal hollywoodiano diretto negli anni ’90 da John Madden. Una ragazza che si finge uomo per tracciare, in modo autonomo, la propria strada: nell’epoca elisabettiana la rottura degli schemi passava per un teatro che escludeva le donne dai palchi e travestiva gli uomini per calarli in ruoli femminili, mentre oggi le difficoltà dei millennials alla ricerca del proprio sé vengono esacerbate attraverso soluzioni creative e cinematografiche.

Romeo è Giulietta, infatti, prima che un film derivativo e citazionista è un’opera incentrata sul tema dell’identità, sulla fluidità che lo accompagna e sull’eterna ricerca di una propria strada che comporti il coraggio di affermare se stessi. Vittoria, la protagonista, è un personaggio interessante: viene presentata agli spettatori come una bugiarda che ha già mentito una volta, consapevolmente, per avere successo, appropriandosi dei testi di un’altra performer. Una “ladra di identità” che non riesce a liberarsi del proprio scomodo passato e nemmeno del cognome – ingombrante – di famiglia; per farlo, deve spingersi fino al punto di rottura. Travestendosi da uomo e inscenando, ancora una volta, un’ulteriore farsa, una bugia che rischia di metterla di nuovo sotto una cattiva luce. Purtroppo il personaggio non viene sviluppato in profondità, mettendo in luce le contraddizioni dilanianti che lo muovono lungo il confine sottile tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, scegliendo piuttosto un approccio estetico che rimane “in superficie”, complici forse gli stessi limiti imposti dal genere d’appartenenza.

In una commedia, ciò che conta è il ritmo e l’intreccio, vedere come andranno ad interagire sulla scena i personaggi; e di sicuro la riuscita del doppio ruolo di Vittoria/Otto si deve al talento performativo di Pilar Fogliati, un vero camaleonte che aveva già mostrato le proprie doti brillanti nell’esordio Romantiche e che qui focalizza la propria attenzione nell’evitare, accuratamente, ogni cliché di genere, sondando nel profondo le differenze tra maschile e femminile, portandole davanti alla macchina da presa con misura e attenzione. In Romeo è Giulietta già il titolo evoca questa fusione tra i ruoli, questa capacità di abbattere i confini di genere e identitari tra i due immortali amanti shakespeariani, nella ferma volontà di riconfermare il tema del film, che usa l’arma della commedia leggera per raccontare la realtà – le innumerevoli difficoltà che vivono i millennials, spesso incapaci di adattarsi a questo mondo frenetico e mutevole – e riflettere su “altro”, innescando la scintilla di un pensiero dietro la risata leggera.

L’intento riesce, pur con alcuni limiti evidenti: se anche la regia di Giovanni Veronesi avesse osato come le performance attoriali, senza ricadere nel cliché del genere e nelle sue superficialità, forse il risultato sarebbe stato ancor più potente (e dirompente). Ma l’occhio meccanico del regista si limita a seguire gli attori appiattendosi sul piano creativo, optando per soluzioni funzionali al genere e al suo ritmo ma esteticamente obsolete, che finiscono per risultare opache in un’epoca ambiziosa e vorace come la nostra, tarata sugli standard competitivi delle piattaforme VOD. Quasi a sottolineare la “sicurezza degli oggetti” garantita da una regia funzionale ma non memorabile, arriva il commento sonoro al film, con musiche dal gusto “jazzy” in alcuni casi e composizioni che sottolineano i passaggi emotivi del film, evidenziando gioie/dolori/paure o attimi di gloria anche in momenti che non ne hanno, oggettivamente, bisogno, complice la bravura degli attori. Perché quando si hanno a disposizione interpreti sensibili capaci di percepire i personaggi, allora davanti agli occhi dello spettatore si sciorinano frammenti di realtà, momenti che rendono credibile l’incredibile e reale ciò che appartiene solo al regno della finzione.

Le interpretazioni sono il punto di forza del film

A contribuire a tale effetto finale non è la sola Fogliati, ma soprattutto la coppia Castellitto-Lombardi: amanti malinconici immortalati nell’autunno dell’esistenza davanti alla macchina da presa, il primo ha riconfermato, ancora una volta, il proprio talento nell’intercettare l’umanità sottile che attraversa dei ruoli sopra le righe, talvolta al confine con “l’overacting”, ridimensionandoli in un’umanità struggente e indimenticabile: un’operazione analoga, del resto, a quella compiuta recentemente dallo stesso attore nel film di Alessandro Bardani Il più bel secolo della mia vita. Castellitto tratteggia così il ritratto di un uomo di teatro bizzoso e cinico, un regista affetto dal classico “complesso di Dio” che sparge gocce di veleno su chiunque lo circondi, con risultati esilaranti.

Perché è proprio nel ritratto dissacrante di un mondo come quello teatrale che Romeo è Giulietta raggiunge il proprio picco di credibilità, trasformandosi in un inconfessabile guilty pleasure, nella satira pungente di un mondo ancora tutto da esplorare per la settima arte. A coadiuvare la presenza del Landi Porrini di Castellitto c’è invece lo sguardo dolente di Maurizio Lombardi, interprete sensibile e sempre in parte, capace di cambiare pelle in ogni occasione fino ad instillare una scintilla di vita nei propri personaggi, rendendoli in tal modo reali, credibili e tridimensionali grazie ad innumerevoli sfaccettature invisibili. Le interpretazioni sono, quindi, il punto di forza della rom-com Romeo è Giulietta, dettagli preziosi capaci di distogliere l’attenzione da una regia che si muove in una comfort zone stilistica e da una sceneggiatura incerta e zoppicante, che mostra in diversi punti delle evidenti criticità.

Il problema della drammaturgia del film, infatti, non si annida nel concept non troppo originale o nella scelta del tema da trattare, au contraire: Shakespeare è un cavallo vincente (e sicuro) sul quale puntare, come ha dimostrato recentemente anche il campione americano al box-office Tutti tranne te. Riprendere quindi un canovaccio del Bardo con le sue molteplici suggestioni non è una scelta sbagliata per costruire una rom-com leggera ma, al contempo, efficace ed intelligente. A destabilizzare la percezione, nel corso della visione, sono alcune scelte narrative specifiche, dei buchi nella trama che rischiano di sfilacciare il ritmo, degli omissis e delle scene specifiche che non consentono alla narrazione di andare avanti, allontanandosi in modo schizofrenico dalla solidità degli schemi e delle strutture tradizionali che, in un genere come la commedia, rappresentano una garanzia di riuscita del prodotto.

Romeo è Giulietta forse subisce gli effetti collaterali di un mercato audiovisivo italiano che ha sempre guardato alle proprie “peculiarità commerciali” puntando, tecnicamente ed esteticamente, tutto quanto sulla commedia all’italiana (appunto) trascurando i canoni di altri generi e sottogeneri, ormai da tempo ad appannaggio di altre industrie: del resto, sono gli Stati Uniti ad aver regalato alla storia del cinema – e agli spettatori – le rom-com immortali più appassionanti, riuscite e profonde del XX-XXI Secolo. E forse questo esperimento ad opera di Veronesi ci ricorda che è arrivato il momento di liberarci dei vecchi schemi e di affrontare il mondo esterno sperimentando in altre direzioni, recuperando stili e topoi narrativi che ancora seducono i sogni del grande pubblico.

Guarda il trailer ufficiale di Romeo è Giulietta

GIUDIZIO COMPLESSIVO

La rom-com inedita per un mercato audiovisivo, come quello nostrano, "incastrato" da sempre nel genere della commedia all'italiana: le interpretazioni sensibili sono il suo punto di forza, lontane da qualunque cliché o stereotipo, come pure è irresistibile la satira pungente verso il mondo del teatro. A rientrare in un'ideale comfort zone è invece la regia, che evita di scavare nel profondo di ragioni e personaggi, e la sceneggiatura dal ritmo altalenante che rischia di inciampare tra omissis e scene che non fanno procedere la narrazione.
Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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