Resident Evil: The Final Chapter è finalmente pronto a sbarcare nelle sale il prossimo 16 febbraio chiudendo così il lungo percorso iniziato nel 2002 con il primo capitolo che portò sul grande schermo il videogioco survival horror omonimo creato da Capcom.
Dopo il successo della saga videoludica, sembrò impossibile – agli albori del nuovo millennio – non lavorare per adattarlo ad un nuovo medium come il cinema capace di raggiungere ed intrattenere un pubblico sempre maggiore che, nel corso di quasi quindici anni, si è appassionato alle avventure di “Alice nel paese degli orrori mutanti e apocalittici”.
Anche in questa nuova avventura la protagonista (Milla Jovovich), dopo essere sfuggita ad una trappola tesa nella “lontana” Washington DC, viene incaricata dalla Regina Rossa, l’intelligenza artificiale creata dalla Umbrella Corporation, di compiere una missione impossibile: recuperare l’unica fiala di antivirus creata e poter così salvare l’ultimo avamposto umano dalla distruzione programmatica di massa.
Per questo motivo è costretta a tornare nel luogo dove tutto ha avuto inizio, Raccoon City. Insieme ad un manipolo di sopravvissuti – tra i quali svetta l’amica Claire (Ali Larter) – dovrà raggiungere il cuore del laboratorio dov’è contenuto l’antidoto, affrontando zombie affamati di carne umana, mostruose creature frutto di mutazioni e la follia di un redivivo Dr. Alexander Isaacs (Iain Glen) e del suo fedele aiutante Albert Wesker (Shawn Roberts), pur di salvare il genere umano dall’estinzione.
Il nuovo Resident Evil: The Final Chapter non tradisce le aspettative degli appassionati della saga videoludica o della sua versione cinematografica: adrenalinico, incalzante, fantasmagorico ed eccessivo, il film sfrutta l’iperrealismo volumetrico del 3D per regalare allo spettatore uno sfolgorante giocattolo che, senza troppe pretese o aspettative, intrattiene ed inquieta al punto giusto.
La sceneggiatura del regista Paul W.S. Anderson è coerente con la drammaturgia da blockbuster hollywoodiano ed è in grado di chiudere (anche se non definitivamente) il cerchio ricongiungendosi con l’inizio, spingendo Alice fin dentro la pancia del mostro che la perseguita dal primo capitolo. Lo stile di Anderson è rutilante e patinato, sa sfruttare l’effetto sorpresa e il colpo di scena per mantenere alta l’attenzione – e la tensione – dello spettatore.
Il percorso compiuto da Alice si può davvero accostare, impropriamente, alle avventure della sua omonima creata da Lewis Carroll persa in un inquietante e seducente paese delle meraviglie; solo che in Resident Evil (nell’arco dell’intera saga, ma soprattutto in questo The Final Chapter) la tormentata protagonista affronta gli incubi e i mostri partoriti dal sonno crudele della ragione umana, confrontandosi con le mostruose creature “là fuori”, ma anche con quelle che popolano il suo passato senza volti e senza ricordi.
Un passato pronto ad affrontare la resa dei conti definitiva con sé stesso, interfacciandosi – e dialogando – con il futuro, il presente e le sue infinite declinazioni, in una realtà distopica e post-apocalittica vittima del potere e dell’avida follia degli uomini che lo rappresentano.