Il 21 ottobre 2020 uscirà sulla piattaforma Netflix Rebecca di Ben Wheatley, pellicola tratta dal romanzo “Rebecca, la prima moglie” della scrittrice, poetessa e drammaturga inglese Daphne Du Maurier. Guardando il film e conoscendone il romanzo e la trasposizione cinematografica di Alfred Hitchcock del 1940, è naturale chiedersi se Rebecca di Wheatley vuole essere un remake della pellicola del noto regista o un nuovo riadattamento filmico del libro. In verità si pone a metà tra i due, perché la sceneggiatura segue passo passo la trama del romanzo e la regia riprende gli intenti della versione del 1940, senza però riuscire a creare gli stessi effetti.
Se mettiamo a confronto le aperture dei due film, per quanto siano identiche nei dialoghi, certamente non lo sono per atmosfera: Hitchcock apre con un lungo piano sequenza, semplice, ma denso di suspense, caratteristica che permeerà tutta la pellicola, mentre Wheatley utilizza effetti speciali, giochi di luce ed ombra, che non sortiscono il medesimo stato d’animo nello spettatore. Il giovane regista sembra rincorrere con grande fatica l’antecedente pellicola, utilizzando le nuove tecniche di regia e montaggio che la cinematografia mette oggi a disposizione.
Certamente la bravura di Joan Fontaine nel ruolo di protagonista femminile e quella di Laurence Olivier nel ruolo di Maxim de Winter hanno avuto un ruolo fondamentale nel successo del Rebecca di Hitchcock; tuttavia anche gli attori scelti per questa nuova versione della pellicola hanno alle spalle molti successi, basti pensare ad Armie Hammer (che interpreta il ruolo di Maxim de Winter) che ha recitato in The Social Network e in Chiamami con tuo nome. La sua interpretazione, per quanto più debole rispetto a quella di Laurence Olivier, soprattutto per la risolutezza del personaggio che quest’ultimo riusciva a raccontare, è pur sempre gradevole. Meno lo è quella di Lily James, che riesce sì a recitare la parte della ragazza semplice di periferia che per puro caso sposa un uomo dell’alta società, ma la sua goffaggine, soprattutto nel camminare, risulta spesso quasi caricaturale. Vediamo la nuova signora de Winter incedere sempre con il capo chino, le spalle vicine al collo e un passo al limite del grottesco. Per Joan Fontaine non è necessario presentare questo tipo di caratteristiche per interpretare il disagio del personaggio, riesce a farlo con molta più naturalezza e veridicità.
Il film di Wheatley è diviso nettamente in due parti: nella prima troviamo una fotografia delicata, colorata e molto luminosa, quasi a sottolineare la felice storia d’amore del signor de Winter e della sua futura sposa, la descrizione di un innamoramento perfetto; nella seconda, l’atmosfera si incupisce, un po’ per i colori naturali della campagna inglese, un po’ per l’intento del regista di accompagnare lo spettatore nel mondo misterioso e tenebroso del Manderley Castle (la suntuosa abitazione della famiglia de Winter). Tuttavia la fase dell’innamoramento dei personaggi principali viene disegnata dal regista come una sorta di soap- opera, fatta di scene di cui conosciamo la conclusione senza aver mai letto il romanzo della Du Maurier: passeggiate romantiche sul mare, gite fuori porta dentro una macchina d’epoca, cene a base di ostriche (la prima parte del film è ambientata a Montecarlo) e, infine, la decisione di de Winter di sposare la ragazza sconosciuta. A intervallare questo idillio, ci sono rari momenti in cui viene messo in evidenza il passato tragico del protagonista maschile; ma sono attimi, a cui non viene dato sicuramente il giusto peso, neanche dalle reazioni della futura moglie davanti a certi atteggiamenti del signor de Winter.
La seconda parte del film, temporalmente la più cospicua, si apre con l’arrivo dei due neosposi al castello Manderley, dove ad attenderli c’è tutta la servitù ed un improvviso acquazzone che, simbolicamente, presagisce quello che di negativo accadrà all’interno della dimora. Il personaggio meglio riuscito del film di Wheatley è certamente quello della signora Dennie Danvers, la governante, interpretata da un’impeccabile Kristin Scott Thomas. La rigidità del corpo e dei movimenti, la durezza delle espressioni facciali dell’attrice, delineano, senza troppe parole o caricature, il carattere austero di questo personaggio. Le scene recitate dalla Scott Thomas sono le uniche a suscitare suspense e timore nello spettatore, nonostante il regista più volte provi a replicare le stesse reazioni con una regia al limite di un film horror non ben girato. Anche la scena del ballo in maschera, una delle più importanti ai fini narrativi, avrebbe avuto delle grandi potenzialità dal punto di vista visivo, ma non c’è il coraggio da parte del regista di osare, di lasciarsi alle spalle il lavoro di Hitchcock per sperimentare delle nuove chiavi di lettura nella messa in mostra della storia.
La caratteristica principale del romanzo originale di Rebecca, come del film del 1940, è che la protagonista non è la nuova signora de Winter, ma Rebecca, la defunta signora de Winter; con Hitchcock lo spettatore sente la presenza di questo non-personaggio, grazie soprattutto alla messa in mostra dei sentimenti del signor de Winter, che viene presentato fin dalle prime scene (quelle ambientate a Monaco), come un uomo turbato da un segreto che custodisce dentro di sé. Nonostante la storia di Rebecca offra molti spunti, Wheatley non riesce a realizzare niente di accattivante, confezionando per Netflix un film che si lascia guardare, ma che non incuriosisce né coinvolge lo spettatore.