A tre anni di distanza da Lo spietato, Renato De Maria rinnova il sodalizio con Netflix e torna dietro la macchina da presa con Rapiniamo il Duce, presentato in anteprima alla 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma (in programma dal 13 al 23 ottobre) e disponibile a partire dal 26 ottobre sulla piattaforma di streaming.
Avvalendosi della collaborazione di Federico Gnesini e Valentina Strada, che firmano la sceneggiatura insieme allo stesso De Maria, il regista e sceneggiatore italiano concepisce un’opera dove i confini tra commedia e dramma si azzerano per raccontare la storia di un furto immaginario avvenuto sul finire della Seconda Guerra Mondiale ai danni di Mussolini; storia che, mescolando realtà e immaginazione, si ispira all’immenso tesoro del Duce realmente esistito (per quanto non esista alcuna certezza storica di che fine abbia fatto).
Il film è ambientato a Milano nel 1945, nel pieno del caos della guerra, e racconta le disavventure di Isola (interpretato da Pietro Castellitto), il re del mercato nero, che un giorno, insieme ai suoi compagni di scorribande, intercetta una comunicazione cifrata e scopre che Mussolini ha nascosto il suo immenso tesoro proprio a Milano, nella “Zona Nera”, in attesa di fuggire in Svizzera per scampare alla cattura e alla forca. Isola, innamorato perdutamente di Yvonne (interpretata da Matilda De Angelis), sua fidanzata clandestina, decide che non può assolutamente lasciarsi sfuggire l’occasione di mettere a segno il colpo più ambizioso della Storia: rapinare il Duce.
Renato De Maria si impegna nella costruzione di un film leggero, di puro intrattenimento, che trova in una piattaforma come Netflix la sua collocazione ideale. Uno degli aspetti più riusciti è sicuramente la commistione di generi, che fa di Rapiniamo il Duce un mix gradevole e stuzzicante tra commedia e dramma, strizzando l’occhio ad un immaginario ampio e variegato: dai film d’epoca ai film di rapina, fino ad arrivare a solleticare perfino l’universo del fumetto.

La tendenza di “riscrivere la storia”
Con Rapiniamo il Duce, anche Renato De Maria si cimenta con la tendenza di “riscrivere la storia”, che trova nella cinematografia d’oltreoceano il suo centro nevralgico (basti pensare alla più recente filmografia di Quentin Tarantino) e che sta ormai prendendo sempre più piede anche all’interno dell’industria nostrana (come dimostrato, ad esempio, da Freaks Out di Gabriele Mainetti, uscito lo scorso anno).
Se il cinema vuole riscrivere la storia, però, non può certamente prescindere da una valorizzazione costante del citazionismo, che De Maria sfrutta tanto nella scrittura quanto nella costruzione dell’inquadratura in modo esplicito ma sapiente, capace di regalare interessanti e piacevoli suggestioni. Questa esigenza apparentemente vincente di misurarsi con la narrativa e le contaminazioni di genere, con le grandi e inarrivabili ombre del nostro cinema passato, con la capacità di travalicare confini invalidanti e di prendere a modello forme di spettacolo più libere e meno impostate, ma anche con le aspettative del pubblico (ormai sempre più alla ricerca di intrattenimento di qualità), può essere vanificata se a sostenerla non c’è il cast giusto e, soprattutto, una buona caratterizzazione dei personaggi, che nel film sembrano però non convergere mai.
In questo senso, Rapiniamo il Duce, grazie alle convincenti interpretazioni di un cast nutrito e affiatato – che include oltre ai sopracitati Pietro Castellitto e Matilda De Angelis, anche Tommaso Ragno, Isabella Ferrari, Alberto Astorri, Maccio Capatonda, Luigi Fedele, Coco Rebecca Edogamhe e Filippo Timi -, diventa anche un racconto corale in cui i personaggi trasposti dalla carta allo schermo, però, non vengono mai realmente approfonditi come meriterebbero a causa di una sceneggiatura troppo esile, relegati perciò a dei “modelli di riferimento” quasi sempre privi di una reale autenticità (fatta eccezione, forse, per il Denis Fabbri impersonato da Capatonda).
Renato De Maria cerca quindi di coniugare nelle varie componenti della sua ultima fatica tanti riferimenti e altrettante intuizioni che però rimangono un po’ troppo fini a sé stesse: l’obiettivo principale dell’operazione viene sicuramente raggiunto – quello di intrattenere e divertire con leggerezza in poco più di 90 minuti -, ma ciò che manca davvero a Rapiniamo il Duce è un’identità ben precisa, unita a quell’originalità, a quel guizzo artistico e a quella forte impronta personale che avrebbero garantito al film di non restare ingabbiato in uno schema collaudato che finisce per risultare fin troppo prevedibile, senza fare sconti né alle dinamiche né all’azione, ma soprattutto ai sentimenti.