martedì, Ottobre 3, 2023
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Rabbia Furiosa – Er Canaro recensione del film di Sergio Stivaletti

Rabbia Furiosa – Er Canaro è il titolo dell’ultima fatica cinematografica di Sergio Stivaletti, re italiano incontrastato degli effetti speciali, che torna di nuovo dietro la macchina da presa per raccontare, con il linguaggio del genere, la propria versione di un tremendo fatto di cronaca nera che insanguinò la Roma degli anni ’80.

Nella realtà, l’episodio è diventato tristemente famoso come il “delitto der canaro”, avvenuto nel 1988 quartiere della Magliana, alla periferia di Roma (qui potete leggere il nostro approfondimento sul caso e su altri 5 fatti di cronaca nera portati sul grande schermo).

Nella finzione cinematografica immaginata da Stivaletti insieme agli sceneggiatori Antonio Lusci e Antonio Tentori (anche loro due storiche presenze nei film italiani di genere), il protagonista del film è l’acconciatore per cani Fabio, interpretato dall’attore Riccardo de Filippis.

rabbia furiosa

Roma, quartiere popolare del Mandrione, erede di una malinconia pasoliniana. Fabio (Riccardo de Filippis) è reduce da otto mesi di galera per un crimine che non ha commesso, ma che ha scontato al posto di Claudio (Virgilio Olivari), suo amico nonché delinquente di piccolo calibro del quartiere, invischiato in traffici vari e perfino in illegali combattimenti tra cani.

Quando i suoi animali rimangono feriti, si rivolge all’amico Fabio per operarli clandestinamente nel retro della sua bottega da acconciatore per cani. L’amicizia che lega i due uomini è ambigua e a tratti malata, basata su un reciproco rapporto di dipendenza e violenza: Fabio incassa silenziosamente la rabbia cieca di Claudio, la subisce senza mai reagire. Almeno, fino al giorno in cui l’uomo, incapace di sopportare ulteriormente l’umiliazione, decide di attuare un terribile piano di vendetta per riscattarsi.

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Rabbia Furiosa – Er Canaro recensione del film di Sergio Stivaletti

Rabbia Furiosa – Er Canaro è una sorpresa, da apprezzare evitando rigorosamente qualunque paragone, confronto o mero parallelismo con il contemporaneo Dogman diretto da Matteo Garrone: ad accomunarli sono le premesse di partenza – un episodio di Nera – e la volontà di scandagliare, attraverso l’occhio meccanico della macchina da presa, le profondità insondabili dell’animo umano. Ma a parte questi due aspetti, i film viaggiano su binari paralleli, distinti ma allo stesso tempo complementari.

In Rabbia Furiosa il titolo evoca a tratti l’episodio e le gesta macabre di cui si macchiò “er canaro”, preferendo piuttosto una rappresentazione lucida dell’oscurità che si annida negli esseri umani, un abisso dal quale bisogna guardarsi – ed evitare di essere scrutati a propria volta, come suggeriva Nietzsche – per evitare che l’eterno gioco delle parti tra vittima e carnefice possa sfuggire di mano.

rabbia furiosa

Il film di Stivaletti è “pulp”, nel senso etimologico del genere: un curioso “pasticcio” inteso come mash-up, commistione continua di generi; vedere Rabbia Furiosa restituisce allo spettatore l’inedita sensazione di assistere ad un multi-film, una sorta di gioco di scatole cinesi dove i generi – e i loro linguaggi – si rincorrono costantemente, adempiendo al compito più nobile di sempre: intrattenere.

Il lungometraggio si muove disinvolto ondeggiando tra i territori del poliziottesco – a tratti anche malinconico – del western, dell’horror e perfino della commedia, che non è altro che lo specchio di una romanità verace e cristallina, ben restituita dalla scelta di ambientare la storia nel quartiere del Mandrione, erede appunto di quelle visioni pasoliniane in via d’estinzione.

 

rabbia furiosa

Come Stivaletti stesso ha sottolineato (qui potete vedere le nostrea video interviste al regista e al cast), la sua volontà non è tanto quella di indugiare nella narrazione dettagliata di un fatto di cronaca a tinte gore: il suo intento è, piuttosto, quello di ricostruire un “canaro ideale” lontano dallo spazio e dal tempo, figlio di ogni epoca e del suo stesso tempo.

Il genere non limita, ma anzi permette al regista di puntare sugli attori – spesso “sacrificati” nei film degli anni ’70-’80 – regalando quindi a caratteristi di razza e a volti riscoperti (più o meno noti, tra i quali spicca un’intensa Romina Mondello) di calarsi nel buio più profondo, là dóve i confini tra realtà e immaginario si confondono fino ad assumere i contorni di un incubo ad occhi aperti.

rabbia furiosa

Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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