Povera Sofia Coppola, che difficoltà raccontare Elvis Presley dopo che l’ha fatto Baz Luhrmann! Povero Jacob Elordi, che fatica avrà fatto a mettersi nei panni del Re del rock’n’roll dopo che li ha vestiti Austin Butler! Si pensa questo in ogni minuto di Priscilla, un film che potrebbe benissimo essere inserito in un montaggio amatoriale come edizione estesa di Elvis, con le scene “dietro le quinte” della vita famigliare.
Nel film del 2022 il palcoscenico prendeva gran parte dello spazio. Qui non c’è quasi mai. In fondo non è l’artista che interessa, bensì la donna che l’ha accompagnato nella buona e nella cattiva fama. Era poco più di una bambina, Priscilla Ann Wagner Beaulieu, quando venne convocata alla corte di Presley. Un sogno che si realizza per una ragazzina in piena adolescenza: incontrare il proprio mito. Un sogno da cui non ci si sveglia più quando questo si espande ed entra in tutta la vita permeandola e cambiandola per sempre.
È bellissimo l’inizio di Priscilla – tratto dal libro di memorie “Elvis and Me”, presentato in concorso all’80esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia e in uscita nelle sale italiane il 27 marzo -, perfettamente coerente con la filmografia di Sofia Coppola. Un teen movie nel mondo delle star, in cui la crescita avviene sotto la luce dei riflettori e gli scatti delle macchine fotografiche. Le canzoni, come da tratto stilistico tipico, sono dissonanti, fuori epoca. Elvis resta quasi totalmente escluso dalla colonna sonora, perché questo è il film di Priscilla, non il suo.
Bradley Cooper in Maestro non si accorgeva di avere tra le mani un film in cui la vera protagonista era la moglie di Bernstein, molto più del compositore stesso. Priscilla invece è ben consapevole della storia che ha tra le mani. Ce lo si aspettava da lei, e non si rimane delusi. Coppola evita di aderire al detto “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”. Dice semmai: dietro questo grande uomo c’è una donna che non ha potuto dire di no e che è dovuta diventare grande per amore, diventando madre due volte. Prima di sua figlia Lisa Marie, poi del marito ormai fragile, distrutto dalla fama e dalle droghe.
Un linguaggio da teen movie classico
Priscilla riesce ad essere autenticamente folgorante nei primi minuti. Il linguaggio è quello del teen movie classico, con tutte le convenzioni del caso. C’è la scena in cui la ragazza cammina nei corridoi della scuola con la testa tra le nuvole, il momento in cui viene invidiata dalla compagne, i genitori contrari e l’attesa di un principe che arrivi con la sua carrozza (l’auto di lusso, in questo caso). La peculiare scelta di questo linguaggio coloratissimo e quasi artificiale per raccontare questa storia vera, permette subito allo spettatore di focalizzarsi sul punto della questione.
Quello che stiamo vedendo è un sogno ad occhi aperti? È il culmine di fortuna per una ragazza che riesce a far cadere ai suoi piedi il suo mito, a vivere nel benessere e a fare tutto questo ben più rapidamente di quanto qualsiasi sua coetanea possa anche solo sperare? Oppure, Priscilla è vittima di una “proposta che non poteva rifiutare”… Come dire di no all’uomo che tutti desiderano? Come affermare se stessi e la propria personalità quando il carisma in persona ti vuole con se? Come essere quella grande donna che tutti cercano, quando il grande uomo è troppo in là per crescere insieme?
La celebrità è il grande tema del cinema di Coppola. Figlia del maestro, nata e cresciuta in un ambiente avulso ad ogni concetto di normalità. C’è molto di lei nello sguardo di Priscilla. Quando si entra però nella quotidianità della superstar, è lì che il film inizia a perdere la presa. Si può comprendere la scelta di non fare un’inchiesta sul potere persuasivo della fama anche nelle questioni d’amore. In fondo, la vera Priscilla Presley è coinvolta nel progetto. Va da sé che il film ha richiesto un placet importante. Peccato però che sia così costretto a fermarsi a un livello veramente superficiale sia del suo grande tema che della biografia nello specifico (gli anni dell’amore, nulla dopo).
La loro storia inizia nel 1958, quando Elvis serviva l’America come soldato in Germani a ovest. Fu un uomo rispettoso, tanto a quanto racconta Priscilla stessa, molto cauto anche contro il parere della ragazza e conscio della differenza di età. Non fu fedele alla relazione, e il film non lo nega di certo raccontando il periodo del matrimonio (finito poi nel 1973) senza idealizzarlo. È palese però l’intento di lasciare sempre una scappatoia, di restare sulla superficie e parlare per assoluti senza ambire a chissà che analisi della complessità.
Indagine o celebrazione?
Così Priscilla funziona decisamente di più come teen movie che come film biografico. Era difficile aspettarsi di più da un progetto simile; al contempo, però, quel qualcosa di più sarebbe stato essenziale per far vivere il film. C’è troppa pulizia ovunque: nella sceneggiatura, in scena, nei volti dei personaggi. Persino le droghe e i loro effetti sono patinati. Nulla di nuovo sul fronte Coppola, ovviamente. A questo punto si potrebbe anche dire “prendere o lasciare”. Però dentro Priscilla c’è palesemente un’intuizione più forte, un film molto più graffiante, che non ha mai potuto palesarsi.
Ambivalente è anche l’attrice protagonista Cailee Spaeny. Perfetta da piccola, riesce a catturare quel periodo di trasformazione dove non si è più adolescenti ma non si è nemmeno adulti. I costumi e soprattutto i capelli (!) crescono con lei. Gli abiti sono usati bene in alcune scene centrali che illustrano la sottile dinamica di controllo. Come si diceva prima però, anche queste sono molto all’acqua di rose, lasciano sempre uno spiraglio per fare uscire bene sia Elvis che la moglie (lei mai veramente problematica, sempre una protagonista a cui aderire). Ad un certo punto, però, la crescita di entrambi pare interrompersi. Smettono di accumulare anni sui loro corpi, si fermano in un eterno presente. Ci viene impedito di vedere la loro sofferenza, il loro invecchiamento. Che Priscilla sia interpretata ancora con le stesse espressioni di inizio film, dopo che ne ha passate di ogni colore e ha avuto una figlia, è l’errore che fa crollare il film.
Proprio nel momento di maggiore difficoltà della coppia in Priscilla, pesa il paragone con Elvis di Luhrmann. Che cambiamento incredibile che aveva il corpo e anche la voce del cantante. Dentro quelle caratteristiche c’era tutto un arco narrativo vertiginoso. In Priscilla tutto cambia fino a un certo punto, quello in cui tirare le conclusioni. Si ferma a un passo dalla fine, come se avesse paura di collegare i due estremi del cerchio e chiudere il discorso di un film iniziato come un’indagine e finito come una celebrazione.