Prey, disponibile su Star all’interno di Disney+ dal 5 agosto, è il prequel di uno dei capisaldi del cinema action anni’80: Predator. Il classico dell’87 vedeva un commando di mercenari, guidati dal leggendario Arnold Schwarzenegger, affrontare uno spietato cacciatore alieno, con incredibili capacità di mimetizzazione, nella giungla di un non meglio precisato paese dell’America Centrale.
Un’idea sulla carta bislacca – nata da una battuta che circolava negli ambienti hollywoodiani su Rocky IV (“dopo questo film, nel prossimo non gli resterà che affrontare un alieno”) – trasformata in una pellicola avvincente, un cocktail perfetto di avventura e suspense dall’iconico cast di pesi massimi (non solo il succitato action hero Schwarzenegger, ma anche Carl “Apollo Creed” Weathers e l’ex wrestler Jesse Ventura).
Un successo entrato di diritto nell’immaginario pop, che ha generato un sequel (Predator 2), due crossover con il cugino Alien (Alien vs. Predator, Aliens vs. Predator 2) e ben due tentativi di reboot (Predators, The Predator), nessuno dei quali al livello del prototipo. Un franchise che non è mai riuscito davvero a spiccare il volo, toccando il fondo proprio con il recente The Predator di Shane Black.
Il papà di Arma Letale ha snaturato completamente i toni della serie, realizzando un action fracassone, eccessivamente ironico e dove viene messa troppa carne al fuoco. Un risultato schizofrenico; un film per ragazzi anni ’80, con picchi di violenza grotteschi, che ha per protagonisti un “mucchio selvaggio” di soldati pazzerelli e un bambino genietto.
È in questo contesto desolante che il regista Dan Trachtenberg e lo sceneggiatore Patrick Aison (Wayward Pines, Jack Ryan) sono chiamati a realizzare Prey. Soprattutto Trachtenberg – con all’attivo due piccole gemme sci-fi thriller come il claustrofobico 10 Cloverfield Lane e l’episodio di Black Mirror “Giochi pericolosi” – sembrerebbe l’uomo perfetto per l’arduo compito: riportare il franchise al mistero e alla tensione delle origini.
La trama di Prey sviluppa proprio un concetto accennato nel primo Predator dal personaggio di Anna: questi alieni (“diavoli cacciatori di uomini”, come vengono chiamati dagli anziani del villaggio della ragazza) hanno già visitato in passato il nostro pianeta per dilettarsi nella loro passione venatoria. La storia di questo prequel, infatti, ci porta indietro nel tempo, nel 1719, tra le foreste del territorio dei Comanche.
La giovane Naru (Amber Midthunder) vuole dimostrare agli uomini della sua tribù, e soprattutto al fratello Taabe (Dakota Beavers), di essere una cacciatrice capace. Sarà la prima ad accorgersi della strana presenza che si aggira tra gli alberi del loro territorio di caccia.
Prey riprende la struttura dell’originale, con una prima mezz’ora dove la presenza dell’alieno è quasi nulla (ci viene ricordata ogni tanto con piccoli momenti, come l’uccisione di un serpente). Come la parte iniziale di Predator è essenzialmente un film di guerra, che segue un gruppo di mercenari americani alle prese con alcuni guerriglieri nella giungla, quella di Prey è vicina a certe pellicole d’avventura dalla natura survival, come Revenant – Redivivo. Prima che la sfida con l’alieno entri nel vivo, la nostra aspirante cacciatrice dovrà vedersela con gli ostacoli quotidiani che la natura metterà sul suo cammino (leoni di montagna, orsi, sabbie mobili).
Anche quando il predator entra definitivamente in azione, il film riesce a mantenere viva la tensione, nascondendo la creatura nell’ombra il più possibile, sempre seguendo i dettami del prototipo. Un mostro che si distingue dall’originale in alcuni dettagli di design, con un equipaggiamento dall’aspetto più primitivo in confronto a quello del primo film (una maschera ricavata dal teschio di qualche creatura aliena, la predilezione per i dardi rispetto al classico cannone al plasma).
Nonostante questa sua natura fortemente derivativa, Prey infonde alla formula una certa freschezza grazie al suo contesto storico-culturale, dove trova spazio anche una critica verso il totale disprezzo dell’uomo bianco per gli animali e la natura (un gruppo di trappeur francofoni che uccide solo per procurarsi le pelli, abbandonando le carcasse delle bestie). La pellicola, inoltre, affranca definitivamente la formula dal machismo testosteronico anni ’80, aggiornandola al presente grazie alla sua protagonista femminile e ad un tono generale più cupo (non aspettatevi l’umorismo da caserma delle battute di Hawkins sull’organo riproduttivo femminile).
Prey riesce finalmente a dare al franchise di Predator un rilancio credibile, fedele ad alcune atmosfere del leggendario primo capitolo, risultando comunque non eccessivamente derivativo. Un film che sa regalare anche qualche momento visivo abbastanza suggestivo (uno scontro in un bosco raso al suolo da un incendio, avvolto dalla cenere trasportata dal vento). Assolutamente consigliato a tutti i fan dell’invisibile predatore spaziale.