Catturare l’invisibile in ogni sua plausibile emanazione. Questo è lo scopo perseguito dalla regista francese Rebecca Zlotowski, autrice – in coppia con Robin Campillo – della sceneggiatura di Planetarium, la sua ultima fatica che tenta di restituire un ritratto inquietante, realistico e a tratti disturbante della relazione tra realtà e sogno, spiritismo e cinema, fanatismo e brutali totalitarismi.
Molti temi, un unico obiettivo: narrare la storia delle sorelle Laura (Natalie Portman) e Kate (Lily-Rose Depp) Barlow che, dall’America degli anni ’30, sbarcano in Europa con i loro suggestivi show durante i quali cercano di comunicare con l’Aldilà, creando un ponte tra i vivi e i morti. A rimanere intrappolato nell’affascinante rete tessuta dalle due donne c’è il produttore francese André Korben (Emmanuel Salinger), schivo uomo d’affari e inguaribile utopista pronto ad assecondare le proprie ossessioni, ma soprattutto pronto a filmare l’impossibile, provando ad immortalare per la prima volta – su pellicola cinematografica – uno degli ectoplasmi evocati dalla piccola Kate durante una delle tante sedute.
Oscuro, ammaliante, enigmatico e disturbante al punto giusto, Planetarium è dotato – almeno su carta – di un’affascinante storia dalla quale partire per la narrazione: ispirandosi a personaggi realmente vissuti come le tre sorelle Fox (“madri” del moderno spiritismo) e il produttore cinematografico Bernard Natan, la Zlotowski gioca con la realtà storica distorcendola e rifrangendola attraverso la propria lente deformante, immergendosi – e trascinando con sé anche lo spettatore più accorto – nella macchina delle illusioni per eccellenza, il cinema e l’industria costruita intorno a quest’ultimo, che permette di realizzare il potere immaginifico – e salvifico – delle illusioni. Le ricerche e le ambizioni della Zlotowski permettono di architettare una struttura da perturbante freudiano, una sorta di favola gotica e macabra sullo sfondo dell’imminente scoppio della Seconda Guerra Mondiale: una minaccia aleggia sulle teste dei tre protagonisti, una minaccia invisibile ed inafferrabile che tutti, a modo loro, cercheranno rispettivamente di evitare o di abbracciare, prendendo atto del proprio destino.
Le premesse interessanti alla base di Planetarium non impediscono purtroppo al film di rimanere vittima del proprio eccessivo, ridondante e bulimico meccanismo: troppi argomenti e troppi fuochi distolgono l’attenzione dello spettatore, regalando ai suoi occhi uno spettacolo imponente ma troppo tradizionale, pronto a soccombere ad una regia perfettamente inappuntabile ma priva di un guizzo stilistico legato, ad esempio, ai codici visivi dei generi. Invece di viaggiare, in sordina, nel confine oscuro dell’espressionismo e del noir la Zlotowski sceglie altre strade, supportata dalla convinzione che il cuore pulsante del film possa risiedere nell’appassionata interpretazione offerta da Natalie Portman, stella e fuoriclasse a fianco a lussuosi comprimari come Emmanuel Salinger o Louis Garrel, qui negli inediti panni di un attore pedante, egocentrico e ubriacone. I 104’ del racconto audiovisivo scorrono con lento incedere, raggelando il tempo e fermando, nel suo attimo, l’orologio della Storia e della sospensione dell’incredulità di personaggi e spettatori.