giovedì, Novembre 30, 2023
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Pinocchio di Guillermo del Toro, recensione del film d’animazione in stop motion

La recensione di Pinocchio di Guillermo del Toro, il film d'animazione in stop motion. Dal 4 dicembre in cinema selezionati e dal 9 dicembre su Netflix.

Riadattare un grande classico, ormai consolidato, nell’immaginario collettivo degli spettatori non è mai un’operazione facile: il rischio è quello di ripetersi e, infine, di banalizzare storie meravigliose ma fin troppo note; di replicare pedissequamente modelli precedenti maneggiando (con poca cura) solo la forma e l’estetica del prodotto finale, trascurando l’essenza o le infinite sfumature che un nuovo punto di vista potrebbe restituire.

Ad esempio l’ultimo live action Disney incentrato su Pinocchio è stato, purtroppo, emblema di questa débâcle artistica e creativa: un film identico al suo corrispettivo animato, fin troppo uguale nella resa e nelle atmosfere, pigro esercizio di stile dall’anima fragile. La fiaba di Carlo Collodi è stata oggetto di innumerevoli adattamenti, remake e reboot nel corso degli anni, dall’italianissima versione televisiva firmata da Comencini negli anni ’60, passando per l’esperimento di Benigni, fino alla versione cinematografica più recente di Matteo Garrone; senza contare la matrice “originale” targata Disney, con l’opera d’animazione del 1940 e il suddetto live action odierno.

Tutti amano il burattino di legno che vuole diventare un bravo bambino, archetipo ancestrale circondato da innumerevoli caratteri, a loro volta incarnazioni di figure che affondano le loro radici nell’inconscio umano, nelle sue esigenze, nelle paure e nelle fragilità che non mostra. Un’opera letteraria stratificata e ben più complessa – quella scritta dall’autore fiorentino nel 1883 – che trova una nuova incarnazione cinematografica nella versione, in stop motion, firmata da Guillermo del Toro (autore del recente Cabinet of Curiosities) alla regia e da Mark Gustafson all’animazione; un film tanto amato, desiderato e agognato da parte del Premio Oscar messicano e che arriverà in alcune sale selezionate dal 4 dicembre e dal 9 dicembre su Netflix.

Con un cast di voci stellari che include Ewan McGregor, David Bradley, Finn Wolfhard, Cate Blanchett, John Turturro, Ron Perlman, Tim Blake Nelson, Burn Gorman, Christoph Waltz, Tilda Swinton e l’esordiente Gregory Mann(nei panni di Pinocchio), il film è ambientato nell’Italia degli anni ’30 e ruota intorno a Geppetto, un intagliatore e falegname che ha perso l’amatissimo figlioletto Carlo. Per ricordarlo, in un momento di dolore e malinconia l’uomo costruisce una piccola marionetta di legno che, miracolosamente, prende vita sotto i suoi occhi: Pinocchio – questo il suo nome – desidera diventare un bambino in carne e ossa, pur non essendo un ragazzino esemplare e trascinando il povero padre in ogni sorta di pericolo e guaio, nonostante la presenza costante di Sebastian, il saggio grillo parlante che vive nel tronco cavo del suo cuore.

Pinocchio di Guillermo del Toro. Cr: Netflix © 2022

Una suggestiva dichiarazione d’amore

Solo la sensibilità di Guillermo del Toro poteva regalare al pubblico un nuovo punto di vista attraverso il quale rileggere la famosa storia di Collodi, che si trasforma in una lente privilegiata grazie alla quale filtrare la realtà odierna, reinterpretandola ex novo. Perché attraverso la storia del burattino che sognava un’anima (per poter diventare un bambino) si possono mettere ben a fuoco le idiosincrasie del nostro presente, quelle contraddizioni irrisolte che ci spingono a perseguire determinati atteggiamenti, restando immutabili – quanto a decisioni e scelte da parte del genere umano – a prescindere dallo scorrere inesorabile del tempo, che getta nuova luce sull’opera di Collodi, forte di un’indiscutibile modernità inedita per il XIX Secolo alla quale appartiene.

Nel suo Pinocchio, il regista messicano non solo ha investito i propri sentimenti senza riserve, ma ha strutturato una sorta di summa compendiaria (in stop motion) della sua poetica cinematografica: attraverso ogni singolo fotogramma, è possibile ritrovare dettagli e tematiche già esplorate dal regista, dimostrando come spesso il cinema horror sia proprio il prediletto per interpretare la realtà attraverso l’ottica caleidoscopica del genere. L’entrata in scena di Pinocchio flirta con l’immaginario dell’orrore gotico, strizzando l’occhio al “Frankenstein” di Mary Shelley: il burattino è la Creatura, la “Cosa” che prende vita in una folle notte di tempesta, generata dal dolore e dalla volontà di sfidare le leggi divine e quelle degli uomini; Geppetto è il dottore, lo scienziato pazzo che sfida la vita sconfiggendo la morte. Il risultato è una creatura inquietante, un burattino uscito dall’inferno o direttamente da La cosa di Carpenter, creatura aliena e “altra” in cerca di un’unica cosa: l’amore.

Perché Pinocchio è esattamente come quegli archetipi mostruosi che da sempre ama il regista: è il ragazzo fragile in cerca d’amore, tenuto a distanza, odiato, ricercato e disprezzato solo perché è diverso dagli altri, spesso da una società consumista e borghese più mostruosa della stessa creatura freak. In questa nuova versione targata Netflix, la società mostrata è quella del periodo fascista, incapace di sviluppare un pensiero critico, imbrigliata dalla retorica dei discorsi politici e dalle idee superomistiche; una realtà che può essere decostruita e depotenziata solo attraverso una risata, lo sberleffo finale e sovversivo che proviene infatti dal “diverso”, da colui che non è incluso nel tessuto socio-economico del paese che fa da sfondo alla vicenda: Pinocchio.

Ma il film, sovvertendo la linearità ben nota del romanzo di Collodi, introduce un campionario di nuovi personaggi mutandone altri, fino a creare una storia simile ma originale, stratificata e complessa, che affronta innumerevoli sfumature emotive attraverso le relazioni tra i suoi protagonisti. Il dolore, la morte, il concetto stesso di tempo, il ruolo (e il peso) dell’eternità, l’amore, il rapporto padre-figlio sono solo alcuni dei topoi e dei temi archetipici affrontati, fino ad arrivare a quel senso finale espresso forse in modo didascalico, ma mai così efficace: Pinocchio, nella sua ricerca spasmodica di essere qualcun altro, finisce invece per essere amato per ciò che è veramente, grazie a tutte quelle peculiarità (e bislacche idiosincrasie) che lo rendono unico e meraviglioso. Una dichiarazione splendida (e liberatoria) per tutti e che non poteva non provenire da Guillermo del Toro, regista dalla rara sensibilità, cantore di un mondo alternativo popolato da “strani”, freak, mostri, personaggi weird semplicemente alla ricerca di randomici atti di gentilezza.

Attraverso Pinocchio, il regista messicano regala agli spettatori una suggestiva – e intima – dichiarazione d’amore verso un mondo diverso (e plausibile) quanto verso la Settima Arte stessa, l’unico mezzo attraverso il quale trasformare i propri sogni in realtà, reinterpretando il mondo che ci circonda tramite un filtro privilegiato e rileggendo, infine, anche ciò che appartiene ad un immaginario collettivo consolidato grazie ad una nuova sensibilità, che getta una luce alternativa avvicinando la tradizione al contemporaneo, fino a creare una narrazione nuova e universale.

Guarda il trailer di Pinocchio di Guillermo Del Toro

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Attraverso Pinocchio, Guillermo del Toro regala agli spettatori una suggestiva – e intima – dichiarazione d’amore verso un mondo diverso (e plausibile) quanto verso la Settima Arte stessa, l’unico mezzo attraverso il quale trasformare i propri sogni in realtà, reinterpretando il mondo che ci circonda tramite un filtro privilegiato e rileggendo, infine, anche ciò che appartiene ad un immaginario collettivo consolidato grazie ad una nuova sensibilità, che getta una luce alternativa avvicinando la tradizione al contemporaneo, fino a creare una narrazione nuova e universale.  
Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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