Raccontare l’adolescenza, uno degli archetipi narrativi più antichi, sul grande schermo è un’operazione essa stessa archetipica: il rischio è quello di ricadere nel cliché, nella banalità narrativa, nella pigrizia di uno storytelling incentrato su uno degli argomenti più inflazionati di sempre, affascinante quanto abusato, mai banale ma forse troppo popolare. Per trovare la chiave giusta c’è bisogno di creatività, inventiva, uno sguardo trasversale e parallelo che spesso attraversa le references biografiche, i frammenti della Storia cristallizzati nel tempo della memoria collettiva.
Esattamente come nella serie Netflix (tratta da un romanzo di Elena Ferrante) La vita bugiarda degli adulti, c’è un altro film in uscita che prende Napoli come sfondo della propria storia, trasformandola ancora una volta in una musa ispiratrice; e come accadeva nel film di Paolo Sorrentino È stata la mano di Dio, è un momento specifico nella Storia – lo scudetto del Napoli vinto nel 1987 – a diventare il motore immobile del coming of age magico e fiabesco di Piano Piano, esordio alla regia di Nicola Prosatore, già reduce dal successo Netflix della docu-serie Wanna.
Questa volta Prosatore collabora con la compagna (di vita e set) Antonia Truppo (Lo Chiamavano Jeeg Robot, Indivisibili) per scrivere la storia di Anna (l’esordiente Dominique Donnarumma), una ragazza che si affaccia all’età adulta in una Napoli circoscritta e popolata da personaggi eccentrici eppure quanto mai reali, emersi dalle esperienze di vita comuni avute dai due autori. La finestra della stanza di Anna affaccia sul cortile di un palazzo-castello in mezzo a un bellissimo nulla che sta per trasformarsi in una nuova epoca.
Ma l’incontro con Peppino (Giuseppe Pirozzi), un ragazzo della sua età, e con quel Mariuolo (Antonio De Matteo) che ha destabilizzato il quartiere, la porterà ai confini di quel piccolo mondo. L’infanzia che deve per forza finire e l’adolescenza che cerca il proprio spazio e l’attesa del suo riscatto sono le due forze contrapposte che si muovono sulla scena, le stesse che faranno tremare un’intera città.
Una fiaba dal sapore iperrealista
Piano Piano, che approderà nelle sale a partire dal 16 marzo distribuito da I Wonder Pictures, sfrutta al massimo le potenzialità del concetto stesso di coming of age, cercando di percorrere la strada della fiaba dal sapore iperrealista, con i suoi personaggi che ricalcano fedelmente il tipico schema teorizzato da Vladimir Propp ma sovvertendolo, grazie ad un occhio lucido che guarda al racconto del reale, spietato e lirico allo stesso tempo.
Il focus del film è Anna, detta “la principessa”: un’adolescente pronta ad affacciarsi all’età adulta, “confinata” nella propria torre d’avorio – la sua stanza – dalla quale osserva il mondo brulicante e caotico del cortile sottostante, un microcosmo nel quale si agita un’umanità che lotta e combatte, contro gli eventi e il destino, per migliorare le proprie condizioni oppure mantenere intatto uno status quo raggiunto con fatica; Anna li osserva mentre noi osserviamo lei e tutti gli altri, voyeur curiosi e inquieti, immortalati dalla macchina da presa nell’atto stesso di spiare.
Alla base di Piano Piano c’è, quindi, una questione di sguardi, un equilibrio affascinante e sofisticato di occhi che ne puntano altri, in una stanza degli specchi (della mente) dove i riflessi rispecchiano moti interiori, tormenti, mutamenti e desideri inconfessabili. Nell’affascinante film di Prosatore lo sguardo è protagonista: gli occhi che si incrociano sono quelli di Anna e degli altri personaggi, dalla madre Susi passando per i vicini di casa, il giovane Peppino e il misterioso “Mariuolo” che tengono nascosto agli occhi indiscreti del mondo esterno.
Gli spazi nei quali si muovono sono claustrofobici e, al contempo, sospesi, attraversati sia dal realismo della grande arteria sopraelevata che doveva connettere – nei piani originali – Napoli in ogni sua parte che dalla magia misteriosa del “giardino segreto” (di letteraria memoria) pronto a celare l’identità tormentata del Mariuolo, apparente antagonista della fiaba – a tratti nera – che Prosatore orchestra.
Ma, in realtà, in Piano Piano non ci sono veri antagonisti: quella che si agita, spasmodica come pesci in un grande acquario, è solo un’umanità che soffre, vive e lotta nella speranza di ritagliarsi il proprio posto nel mondo, a costo di andare contro la legge che impone sfratti coatti e improvvisi, reinventandosi ogni giorno per esistere. E se la scia dei ricordi è fondamentale per costruire la drammaturgia del film, ancor di più lo sono le suggestioni letterarie ma soprattutto cinematografiche, filtrate sottopelle, assorbite e rielaborate fino ad adattarle alla realtà messa in scena sullo schermo d’argento.
Un microcosmo, quello che Prosatore evoca, arricchito dalla presenza costante e fondamentale della musica, qui composta da Francesco Cerasi – la colonna sonora è edita da Edizioni Curci ed è disponibile in digitale – che cerca di mixare insieme sensazioni ed emozioni, amarcord e presente, brani editi ed inediti: grazie ad alcuni pezzi imprescindibili – cult mainstream degli anni ’80 e canzoni della tradizione partenopea – Cerasi connette la pop (culture) con il popolare, ricostruendo perfino attraverso le suggestioni sonore, sia diegetiche che extra-diegetiche, i dettagli di un’epoca lontana… eppure, mai così vicina.
I Goonies è solo uno tra i tanti riferimenti ideali di un immaginario da costruire nel quale è proprio l’adolescente – lontano dall’infanzia ma lanciato, da solo, lungo la strada per diventare adulto – a trasformarsi nell’anello di congiunzione ideale, nella chiave di lettura unica per interpretare la realtà filtrandola attraverso uno sguardo inedito e particolare, incantato e non ancora contaminato dall’eccesso di crudo realismo della quotidianità.