Una serie di immagini di repertorio cullano lo spettatore fin nel cuore di un’atmosfera, di un sogno ad occhi aperti che coincideva con un’Italia finalmente liberata dall’oppressione del conflitto bellico: il secondo dopoguerra si apriva così, come una nuova epoca di pace e prosperità, un lungo periodo onirico dal quale risvegliarsi bruscamente, complice la morbosità della cronaca nera.
Questo accadeva nel 1956, quando la tragica vicenda di Franco Percoco scuoteva nel profondo la recuperata tranquillità di Bari, consegnando alla storia dell’opinione pubblica quello che è conosciuto, ancora oggi, come il primo stragista familiare d’Italia, un mostro da sbattere in prima pagina. E proprio partendo dalle suggestioni letterarie del romanzo (quasi) omonimo di Marcello Introna, il regista Pierluigi Ferrandini ha diretto il film che ripercorre proprio quei lunghissimi dieci giorni che separarono il giovane Franco dalla scoperta (da parte della polizia) dell’orrore che aveva compiuto e che teneva sotto chiave nella camera da letto dove giacevano i corpi dei suoi genitori e del fratellino; un atto tremendo e oscuro che si era lentamente fatto strada nella sua esistenza fino a dilaniarla, stravolgendola del tutto e consegnandolo agli orrori dell’immaginario collettivo.
Ferrandini ha affidato l’arduo compito di calarsi nei panni del protagonista di Percoco – Il primo Mostro d’Italia al giovane attore Gianluca Vicari, che ha descritto l’esperienza sul set come un vero e proprio “training fisico”. Il film, presentato al Bif&st, uscirà nelle sale italiane in anteprima il 13 aprile, prima di approdare in tutti i cinema solo il 17, 18 e 19 dello stesso mese come evento speciale. Percoco racconta quindi la vera storia del primo serial killer familiare del Novecento, ovvero Franco Percoco.
Durante la notte tra il 26 e il 27 maggio del 1956, l’uomo compie una strage a Bari, uccidendo tutti i membri della sua famiglia con un coltello da cucina. In seguito, il giovane inizia una nuova vita da studente universitario, si dedica riccamente alla vita mondana e trascorre il suo tempo intrattenendosi con le gioie del boom economico. L’uomo vive per dieci giorni con i cadaveri dei genitori e del fratello murati in casa e fino ad allora nessun assassino aveva vissuto così a lungo con le proprie vittime; ma, di punto in bianco, la vita di Franco si era ritrovata sul punto di cambiare di colpo un’altra volta, infrangendo per sempre quell’illusione nella quale si era rifugiato.
Un sogno pronto a trasformarsi in un incubo
Ferrandini ha compiuto un grandissimo lavoro nel delineare la figura di Percoco, perché la sua macchina da presa si limita a seguire, spiare, accompagnare i fatti (e i misfatti) del protagonista senza mai giudicarlo, lontano dal porsi come un Dracone super partes pronto a condannare gli orrori compiuti dal giovane studente universitario modello, un everyman innocuo agli occhi dei vicini e di coloro che potevano incrociarlo, casualmente, sul lungomare di Bari.
L’occhio meccanico lo segue passo-passo creando un crescendo iperbolico di suspense, grazie a un impianto drammaturgico poco interessato a mostrare quanto, piuttosto, a vivisezionare (letteralmente) solo la psicologia conflittuale di Franco Percoco, fornendo tutti gli strumenti utili per tratteggiare un ritratto ricco di chiaroscuri delineato dalle luci quanto dalle innumerevoli ombre che hanno avvolto il personaggio. Percoco è una figura intrigante proprio nella sua complessità oscura: caduto nell’abisso di una mente fragile, ha assecondato i propri impulsi reconditi e inconfessabili, molto probabilmente dilaniato – e schiacciato – da quelle aspettative sociali che tutti riponevano nei suoi confronti.
La laurea, lo status sociale, un buon lavoro e una vita appagante: condizioni apparentemente irraggiungibili – o, comunque, difficili da realizzare a breve giro – che hanno fatto deflagrare violenza e oscurità, riconfermando ancora una volta quel concetto di “banalità del male” già illustrato dalla politologa, filosofa e storica tedesca Hannah Arendt. E anche la regia di Ferrandini è funzionale alla trasposizione di questa figura tragica sul grande schermo, complice una perfetta ricostruzione degli spazi (seguendo le immagini d’archivio dell’originale) e una fotografia pronta a giocare sempre con i concetti di luci ed ombre, emulando le dinamiche del sogno quanto dell’incubo, stretta in tagli artistici che ricordano la matrice della scuola espressionista tedesca.
Oltre all’assenza di giudizio nei confronti del protagonista, un altro aspetto affascinante che attraversa febbrilmente Percoco riguarda il lato nascosto di sogni proibiti e desideri inconfessabili legati, a doppio filo, con l’illusoria felicità evocata dal Boom economico: un’epoca di profondo benessere rivoluzionario, forse effimero, che ha travolto la penisola fino a sconvolgerla. E nessuno poteva minimamente immaginare che l’idolo dorato della modernità potesse allungare un’ombra così oscura e torbida, trasformando un giovane uomo qualunque come Franco Percoco nell’incarnazione archetipica del sogno proibito di una Dolce Vita agrodolce (quanto effimera), da raggiungere ad ogni costo fino a spingersi oltre ogni limite imposto dall’etica. Nella complessità tematica orchestrata da Ferrandini, Percoco – Il primo mostro d’Italia è un racconto affilato di un sogno pronto a trasformarsi in un incubo; una sorta di “conto alla rovescia” per la fine di ogni illusione, narrato dalla macchina da presa senza giudizio morale e con assoluto distacco emotivo, come una lucida telecronaca degli eventi accaduti.
Eppure il film di Ferrandini risulta seducente nella messinscena allusiva proprio quando sceglie scientemente di non mostrare l’orrore ma di farlo affiorare a poco a poco, attraverso dei dettagli – e degli elementi – metaforici che suggeriscono le crudeltà che, a breve, faranno irruzione sullo schermo travolgendo lo spettatore. Purtroppo, è proprio quando si arriva nel cuore di tenebra dell’orrore, tra elementi allegorici e perturbanti, che la forza di Percoco si depotenzia progressivamente, sancendo comunque una lenta discesa in un orrore che appartiene al passato prossimo della nostra Storia.
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