Parigi, 13Arr. è il titolo del nuovo film che riporta Jacques Audiard all’attenzione del pubblico e della critica, dopo il successo riscosso con lavori come Il profeta, Un sapore di ruggine e ossa, Dheepan – Una nuova vita e I Fratelli Sisters. Coadiuvato da un cast di attori quasi sconosciuti o al loro debutto sul grande schermo – a parte Noémie Merlant, già protagonista de Il ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma, qui co-sceneggiatrice insieme ad Audiard e Léa Mysius – il regista adatta per il grande schermo due graphic novel del fumettista nippo-americano Adrian Tomine intitolate Killing and Dying e Amber Sweet. Il film, distribuito in Italia da Europictures, approderà nelle sale dal 24 marzo.
Nella Parigi senza tempo né spazio del quartiere di “Les Olympiades”, nel XIII arrondissement parigino, vivono le loro esistenze tre ragazze e un ragazzo destinato ad incontrarsi e incrociarsi: Émilie è in cerca di un coinquilino e forse anche dell’amore (nonostante il suo atteggiamento punk) quando incontra Camille, professore precario dall’aria dandy che sembra sapere tutto sulla vita. Ma le sue certezze verranno infrante dall’incontro con Nora, un’agente immobiliare da poco trasferitasi nella capitale francese, che è in cerca di se stessa. E si troverà nel posto – e nel momento – più improbabile, ovvero quando scoprirà di somigliare alla nota camgirl Amber Sweet.
Tecnicamente quelle che attraversano Parigi, 13Arr. sono due storie: due ampie linee narrative che, come affluenti, finiscono per confluire in un fiume più grande e in piena che è quello dell’esistenza. Il Panta Rei classico trova nuovo spazio e un linguaggio moderno tra le architetture di una Parigi anacronistica, internazionale e glocal, immortalata superbamente dall’occhio meccanico di Audiard che si insinua con dolcezza e tocco onirico tra le vite degli altri, osservandole senza mai giudicarle, trasformandole da casi particolari in vicende universali. Parigi, 13Arr. è una commedia romantica, ma è anche un’opera d’arte e un romanzo di formazione (come ha ben spiegato lo stesso regista francese durante la conferenza stampa), o per meglio dire una forma letteraria che sfrutta l’immagine per raccontare la realtà, abbracciandone tutto il potenziale ed elevandolo alla settima (arte).
Il bianco e nero che scolpisce i contorni dei grattacieli ultra moderni del XIII arrondissement evoca le suggestioni del recente cinema indie americano (Frances Ha, Malcolm & Marie, C’Mon C’Mon) ma anche le immortali riflessioni sull’amore (e altri disastri relazionali) partorite dalla mente creativa di Woody Allen, cantore delle nevrosi moderne nel suo capolavoro Manhattan. Se lì la rapsodia in blu veniva diluita nel bianco e nero, qui una Parigi ben lontana dalla tradizionale immagine da cartolina si trasforma in una New York qualunque senza tende alle finestre, in una megalopoli asiatica insonne e disseminata di led e luci fredde. Lo spazio della città è perfetto per ospitare l’arco narrativo di crescita che coinvolge i tre protagonisti principali, impegnati in un atipico triangolo che evoca le suggestioni Nouvelle Vague dei Jules e Jim di Truffaut: nessuno di loro sa bene chi è, dove sta andando o cosa diventerà.
Ed ecco quindi che Audiard, con Parigi, 13Arr., compie il miracolo di raccontare una generazione “di mezzo” che ancora fatica a trovare realmente spazio nello storytelling attuale, quei Millennial che hanno superato la spensierata ventina ma non sono ancora pronti ad accollarsi le responsabilità dei quaranta. I Millennial del regista francese sono incerti e confusi, post-adolescenti invecchiati troppo presto (o non cresciuti affatto) che imitano gli adulti, ma soffocano sul fondo del proprio Io emozioni, ansie e paure. La narrazione di Parigi, 13Arr. vive delle contraddizioni del reale, tra app d’incontri, sesso libero, cyber bullismo e solitudine; i suoi Millennial soffrono mentre sono alla ricerca della propria identità, finendo per trasformarsi nello specchio deformante di molti spettatori, coetanei in cerca di un proprio posto nel mondo, o semplicemente di una soluzione utile – e facile – a domande esistenziali fin troppo complesse (e senza risposta).
Con Parigi, 13Arr., il regista francese suggella un gioiello di realismo magico, nel quale la verità del quotidiano viene sublimata dalla tecnica, attraverso un uso autoriale del bianco e nero che evoca le suggestioni delle graphic novel (quanto del cinema indie), ma anche di sequenze oniriche e immaginifiche che dimostrano quanto il cinema sia capace di rielaborare la quotidianità, trasformandola in arte e cogliendo le sfumature più sottili delle nostre percezioni emotive.