sabato, Settembre 14, 2024
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Pacific Rim La Rivolta recensione del sequel con John Boyega

La decisione di Guillermo Del Toro di rinunciare alla regia – affidata in seconda battuta a Steve S. DeKnight – rivestendo i panni di semplice produttore pur di non bloccare la produzione o dover rinunciare al progetto su cui stava lavorando (The Shape of Water, che gli ha fruttato una montagna di premi, dal Leone d’oro all’Oscar passando per Golden Globe e BAFTA) lasciava temere il peggio per questo Pacific Rim La Rivolta, sequel fortemente voluto e inseguito proprio dal regista messicano nonostante gli scarsi incassi al botteghino del primo (411 milioni worldwide a fronte di un budget di circa 190).

Le basse aspettative hanno probabilmente giocato in favore di Pacific Rim La Rivolta che, nel complesso, riesce a non sfigurare rispetto al precedente, risultando molto meno convincente per alcuni aspetti e più riuscito per altri. Partendo da questi ultimi, è innanzitutto un film che parla a un pubblico diverso, meno specifico e (molto) più vasto: la presenza del terzetto John Boyega (lanciato dalla nuova trilogia di Star Wars), Cailee Spaeny (semi sconosciuta cantante americana di vent’anni) e Scott Eastwood (recentemente visto in Suicide Squad e Fast & Furious 8) lascia pochi dubbi al fatto che il target di riferimento sia composto prevalentemente da teenager.

Nonostante pesi l’assenza di Charlie Hunnam, Idris Elba e soprattutto Ron Perlman, la cui breve performance era una delle punte di diamante del primo film, il giovane terzetto prima citato, pur non eccellendo in carisma, ha buone capacità e il giusto physique du rôle, facilitato da dialoghi che, per quanto non particolarmente brillanti o pregni di significato, sono asciutti e fortunatamente privi dell’umorismo becero cui ci hanno abituati i film Marvel. Sarà facile dunque per il giovane pubblico immedesimarsi in uno dei protagonisti e lasciarsi trascinare nelle loro vicende, narrativamente organizzate in un intreccio non privo di cadute – prima fra tutte la pretestuosità di alcuni avvenimenti – ma nel complesso, soprattutto nella seconda metà, anche più solido e ricco di colpi di scena di quello del precedente capitolo.

All’interno della trama ampio spazio è dedicato stavolta alla rappresentanza cinese costituita dalle due interpreti femminili, Rinko Kikuchi, che torna a vestire i panni di Mako Mori, e Tian Jing, che nel film interpreta l’algida dottoressa Liwen Shao, il cui ruolo risulta più che determinante ai fini dello sviluppo della storia. Una scelta affatto casuale legata alla centralità del mercato asiatico, diventato negli ultimi anni decisivo per il destino di moltissime produzioni – non fa eccezione Pacific Rim, che nel 2013 ha incassato più in Cina (111 milioni di dollari) che negli Sati Uniti (101 milioni); a questo va aggiunto che il film è prodotto da Legendary, rilevata nel 2016 dalla Wanda Group per 3,5 miliardi, fino ad oggi la più grande acquisizione di una compagnia americana da parte di un’azienda cinese.

Pacific Rim La Rivolta recensione del sequel con John Boyega

Nonostante il passaggio di proprietà il budget del film è stato ridimensionato, rispetto al precedente (costato 190 milioni), di 40 milioni di dollari. Quanto questo “taglio” abbia inciso, in particolar modo a livello di effetti visivi, è difficile stabilirlo. Certo è che l’estetica del film è uno degli aspetti che più fanno rimpiangere il lavoro di Del Toro: se Pacific Rim era volutamente caratterizzato nei costumi e nel design da un look retro, sporco e liso e nelle ambientazioni e atmosfere da un gusto noir e a tratti cyberpunk (la pioggia onnipresente e le luci al neon dei setting urbani) che omaggiava i Kaijū movie originali, Pacific Rim La Rivolta rinuncia ai dettagli e appiattisce tutto su un stile senza personalità ma forse più facilmente recepibile dal grande pubblico. Un’assenza che aggrava una regia anonima e in alcuni momenti stucchevolmente didascalica, distante anni luce da quella accurata e ricca di meraviglia di Del Toro, che magnificava ogni singolo dettaglio delle “sue creature”, dai robot ai mostri, dalle armature ai meccanismi, dai piloti agli ambienti.

DeKnight cita dove può alcuni riusciti momenti del precedente film e, liquidando sbrigativamente la messa in scena, gira quasi sempre con il pilota automatico, abbandonando alcune sequenze di lotta a uno stile confusionario che non ha nulla da invidiare agli ultimi Transformers. A questo va aggiunto che alla fotografia calda e corposa di Guillermo Navarro, storico collaboratore di Del Toro, si sostituisce quella più fredda e patinata di Dan Mindel (Star Wars – Il risveglio della Forza, Star Trek – Into Darkness, Mission: Impossible III), che contribuisce a rendere lo stile del film meno caratteristico e più in linea con lo standard di molti recenti Blockbuster hollywoodiani. Stessa cosa dicasi per la colonna sonora, dove le riconoscibili asperità incalzanti e grandiose dei temi di Ramin Djawadi sono state sostituite dal più neutro commento musicale di Lorne Balfe.

Detto ciò, Pacific Rim La Rivolta resta un lavoro discreto, perfetto per il suo target (sebbene il successo al botteghino dipenderà in larga misura dalla bravura della Legendary nel comunicare il cambio di marcia rispetto al precedente), complessivamente più godibile e intelligente della maggior parte dei cloni senz’anima targati Marvel e DC. Il consiglio è, ovviamente, di vederlo al cinema per poter apprezzare al meglio i momenti di intrattenimento più puro e spettacolare che, nella maggior parte dei casi, coincidono con gli scontri tra i giganteschi robot e i mostri, alcuni dei quali davvero degni di nota.

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