Nowhere Special – Una storia d’amore è il titolo dell’atteso film diretto da Uberto Pasolini (già regista di Still Life e produttore di un cult come Full Monty), pronto a debuttare nelle nostre sale dall’8 dicembre dopo la favorevole accoglienza di critica e pubblico ricevuta alla 77° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, dove è stato presentato in Concorso nella sezione Orizzonti, e poi alla 16° Festa del Cinema di Roma, nella selezione Sintonie di Alice nella Città. Protagonisti del film sono il piccolissimo – e talentuoso – Daniel Lamont e l’inglese James Norton, già visto nei film L’ombra di Stalin e Piccole donne, entrambi pronti a calarsi anima e corpo rispettivamente nei ruoli di Michael e John.
Una storia d’amore, un legame inscindibile tra padre e figlio: John, un giovane lavavetri, dedica la vita a crescere il figlio di quattro anni, Michael, dopo che la madre li ha lasciati soli una volta nato il bambino. La loro è una vita semplice, fatta di piccole cose e di completa dedizione e amore innocente che provano l’uno verso l’altro: ma il destino talvolta è crudele, e John ha davanti a sé solo pochi mesi di vita. Nell’assenza di una famiglia propria a cui rivolgersi, il giovane padre trascorrerà i giorni che gli restano a cercarne una nuova, perfetta, a cui dare in adozione Michael così da proteggere il futuro del suo bambino dalle avversità, anche quando non ci sarà più.
Ci sono film che, pur raccontando le difficoltà dell’esistenza, scelgono la chiave d’interpretazione del sentimentalismo più superficiale e formale, mettendo ogni volta in scena un decalogo di cliché e topoi narrativi volti a spezzare il cuore degli spettatori. Ma Nowhere Special prende con decisione le distanze da questi meri esercizi di stile che spesso strizzano l’occhio al grande pubblico delle cornici festivaliere, affermandosi invece grazie ad una drammaturgia forte e indipendente che ben si esplica nelle potenzialità narrative della macchina da presa, mezzo capace di raccontare solo – ed esclusivamente – attraverso la purezza delle immagini la cruda bellezza della realtà.
Come ha dichiarato lo stesso Uberto Pasolini nel corso della nostra videointervista, la sua volontà – da regista – è stata, fin da subito, quella di mostrare senza orpelli la verità, ispirandosi alle esperienze cinematografiche di cineasti come Ken Loach e i fratelli Dardenne (ma anche il maestro della Nouvelle Vague François Truffaut), i quali sono stati in grado di raccontare la sublime crudeltà del quotidiano che ci avvolge, abbatte e infine nobilita nonostante i tiri mancini giocati dal destino. Stretti come in un tango avvincente ed erotico, pulsione di morte (o, comunque, lo spettro di quest’ultima) e vitalistico impulso alla vita si abbracciano e rincorrono, si afferrano al volo in un turbinio di situazioni e ostacoli, dimostrando quanto l’esistenza sia capace di riservare sorprese inaspettate in grado di sconvolgerla completamente, nel bene o nel male.
E per far trasudare ogni singolo fotogramma e ogni inquadratura di vita e realtà, Pasolini ha scelto la via della storia d’amore capace di valicare perfino il senso ineluttabile di fine; una storia d’amore suprema perché non è quella che lega due amanti, bensì il legame inscindibile che unisce un padre e un figlio, un puro legame di affetto disinteressato in grado di battere la morte sulla scacchiera stessa dell’esistenza, rispondendo attraverso disinteressati atti di altruistica bontà e gentilezza. Il cinema del regista italiano aveva già iniziato a riflettere, attraverso il precedente Still Life, sul tema di ciò che resta: non è la conclusione, il concetto effimero di “fine” ad attrarre Pasolini, quanto la riflessione che lega i vivi a ciò che rimane, ai resti di affetti e ricordi che li hanno accompagnati e forgiati.
Nowhere Special parte dalla quotidianità, da un articolo di giornale su un giovane padre terminale alla ricerca di una nuova famiglia (e di un futuro migliore) per il figlioletto, creando un delicato quanto fragile equilibrio tra la bolla illusoria del cinema e la realtà stessa, da sempre in grado di superarla: il risultato non è solo un film ma un fiore d’acciaio, fragile e allo stesso tempo tenace, capace di dimostrare quanto anche nella tristezza più blu possa sbocciare uno splendido bocciolo, delicato come un cristallo di Boemia e da proteggere ad ogni costo. Ed è così non solo il destino di Michael e John, ma anche Nowhere Special stesso, un gioiello drammatico che non approfitta mai dei sentimenti dello spettatore, scegliendo piuttosto la difficile via di un linguaggio drammaturgico – e, soprattutto, audiovisivo – asciutto e riflessivo, scarno ed essenziale, elegiaco e “normale”: così spetta ai dettagli più infinitesimali, agli sguardi scambiati tra i personaggi trafiggere il cuore pulsante del pubblico, facendo sgorgare calde lacrime.
Calde, mai fredde, perché Nowhere Special parla la lingua del quotidiano colpendo dritto ai sentimenti, alle emozioni recondite che troppo spesso si trattengono; in tal modo costringe lo spettatore ad empatizzare con il lungo calvario (laico) di John, martire d’amore che si “immola” in nome di un futuro migliore per il suo bambino, riscattando sul grande schermo quel legame padre-figlio ancora troppo inesplorato dal cinema. Perché il film di Uberto Pasolini è anche una risposta, asciutta e toccante, al tema della mascolinità tossica: un sistema patriarcale e arcaico, che impone ad un uomo di non mostrare mai i propri sentimenti e le emozioni che lo agitano dentro, viene spazzato via di colpo da un puro atto d’amore, spiato in sordina dall’occhio meccanico della macchina da presa pronta a muoversi in un microcosmo intimo e tenero, declinato (quasi) esclusivamente al maschile.
Complice del successo dietro Nowhere Special è anche l’alchimia che lega i due protagonisti, il giovanissimo enfant prodige Daniel Lamont e il navigato James Norton: un figlio e un padre che si specchiano reciprocamente l’uno negli occhi dell’altro, alla ricerca di un supporto incondizionato e costante come l’amore che li lega, ostinato e capace di superare il concetto stesso di morte o fine. Un legame, il loro, che essendo basato proprio su un sentimento disinteressato e viscerale, è incosciente e travolgente, totalizzante e intimo. Là dove le parole non servono per spiegare le emozioni, ci pensano i già citati sguardi, ma anche i silenzi o le risate tra i due, ad immortalare sullo schermo d’argento una coppia che lo spettatore dimenticherà difficilmente.