Nostalgia è il titolo dell’atteso ritorno di Mario Martone dietro la macchina da presa: dopo il successo di Qui rido io, un nuovo film pronto ad affrontare una vetrina importante come quella di Cannes 75 sfoderando un cast di primo piano che vede protagonisti Pierfrancesco Favino (Promises), Tommaso Ragno (Vetro), Francesco Di Leva (Il sindaco del Rione Sanità), Aurora Quattrocchi e Nello Mascia. Il lungometraggio, tratto dall’omonimo romanzo di Ermanno Rea, è pronto a debuttare nelle sale italiane il 25 maggio.
Il film è ambientato a Napoli, nel Rione Sanità: proprio qui il protagonista Felice (Favino) torna dopo quarant’anni di assenza, trascorsi lontano dalla sua terra e in Medioriente. L’uomo, che è tornato solo per sua madre, resterà invece lì – nel luogo dove è nato – più a lungo di quanto aveva previsto, mentre riscopre i luoghi, i codici del quartiere, le piccole tradizioni e fa i conti con un passato che lo divora. Perché da giovane Felice insieme a Oreste (Ragno), suo amico d’infanzia e di bravate, ha commesso qualche piccolo crimine del quale si pente e che lo perseguita, dopo averlo già messo in fuga quand’era solo un adolescente. Ma Felice non ha mai tradito l’amicizia con Oreste, e ora che è tornato nel rione vorrebbe ricucire il loro rapporto anche se ormai l’amico si è trasformato nel boss del quartiere che tutti temono, tranne padre Luigi (Di Leva).
Nostalgia, attraverso la rievocazione di un passato che finisce per intrecciarsi con il destino del presente, riannoda i fili del tempo muovendosi lungo le coordinate – storico-geografiche – di una città come Napoli, grandissima protagonista dell’opera di Martone. Un mosaico vivo, pulsante e contraddittorio che fa da sfondo al ritorno di un uomo sui luoghi della propria memoria, alla ricerca di un’agognata assoluzione dei peccati dei quali si è macchiato. Come in una versione post-moderna, intima e tutta italiana de Il posto delle fragole di Bergman, il personaggio di Felice – interpretato da Favino – si aggira tra vicoli e rioni silenziosi, in una notte apparentemente perpetua che avvolge i suoi passi mentre si inerpica lungo la strada del ricordo; la sua silhouette enigmatica e tormentata si staglia tra le luci e le ombre, scolpita soprattutto da quest’ultime prima che il giorno faccia irruzione tanto sulla scena (quanto nella sua esistenza). Lentamente il buio si rischiara, facendo emergere – in modo via via sempre più nitido – il complesso ritratto di una città babelica, crocevia di culture e tradizioni.
Martone mette letteralmente in scena il concetto di nostalgia, quel dolore cieco che attanaglia solo alla semplice idea del ritorno a casa: il nostos greco ferisce, non è un viaggio senza peripezie e forse richiede anche dei prezzi fin troppo alti da pagare. Felice, nomen omen, affronta tutto questo con candore inconsapevole, gravato dal senso di colpa nei confronti delle azioni passate ma fiducioso, pian piano, di poter tornare sui propri passi per ricostruire un futuro a partire dalle proprie radici. Nostalgia è un viaggio nella sua stessa essenza, che sul piano fisico ha molteplici valenze: si tratta tanto di una discesa viscerale nel ventre di Napoli, nel Rione Sanità, quanto nel cuore pulsante del ricordo stesso. Felice scava tra la polvere del tempo, si perde tra catacombe e tradizioni antiche, attraversa la città salendo e scendendo: è il movimento a scandire il suo percorso di consapevolezza, portandolo ad astra per aspera, ignaro dell’ineluttabilità del destino che lo attende.
Napoli è la grande protagonista di Nostalgia: come Paolo Sorrentino, Mario Martone è un altro grande cineasta dalla poetica specifica, dotato di un linguaggio personale inconfondibile e in grado di raccontare le tante storie che vivono in una metropoli antica e sfaccettata. Il regista napoletano trasforma la sua voce in immagini, maneggiando con cura lo scorrere del tempo tanto da creare un flusso narrativo unico, capace di dialogare tra le epoche, di abbattere barriere e differenze. Ogni fotogramma nasconde tanto la malinconica quanto una dichiarazione d’affetto nei confronti di una Napoli dotata di una pluralità di voci, figlia di ogni singola esperienza e di ogni diversità, che finisce per restituire – in tal modo – il caleidoscopio unico di colori del suo spettro. E Felice, che in un primo momento sembra un alieno caduto “di peso” nel ventre di Napoli, finisce per recuperare un dialogo con se stesso e le proprie origini, che si riflette soprattutto sul piano linguistico: da un italiano ibrido, contaminato con l’arabo, riacquista un lessico di base che vive nel dialetto, finendo per riappropriarsene completamente.
Nostalgia è un film sul ricordo, che mette in guardia lo spettatore: il passato è passato e non ritorna, nel bene o nel male, sembra voler suggerire Martone. E il ritmo rarefatto dell’intera opera riflette proprio questa lenta discesa nell’abisso, in un maelstrom oscuro e insidioso, che Felice continua a percorrere senza paura, mosso dall’ingenua bontà da paladino carolingio “che non ha mai tradito” un patto di amicizia. A fare da controcanto alla luce sfavillante della sua immaginaria armatura, vi è l’oscurità eterna che avvolge Oreste, anche il suo nome omen da tragedia greca: un Riccardo III inquietante e paranoico, un re caduto e vittima delle sue stesse mostruosità. Lui e Felice sono due titani su una scacchiera immaginaria che si affrontano fino all’inevitabile epilogo. Che è amaro, proprio come nella tradizione dei tragici greci o dell’opera lirica, ma anche come insegna la vita stessa, che spesso non concede troppo spazio per le seconde buone occasioni.