Ci sono tematiche scomode che, fin dagli albori, attraggono la settima arte (e i suoi cineasti) con il rischio però di trasformarsi in “materiale pericoloso” e incandescente da maneggiare con estrema cura, muovendosi in equilibrio lungo un sottile filo di seta, sospesi tra le sfumature infinitesimali che separano il territorio del dramma da quello della commedia. Ad esempio, la malattia è una di queste.
Abusata e saccheggiata fin troppo spesso sia per far piangere – e commuovere – che per far ridere – fin quasi alle lacrime, come un esorcismo laico – quest’idea attraversa trasversalmente tanto cinema muovendosi lungo gli assi cartesiani dello spazio e del tempo, segnando degli ottimi risultati (l’opera di genere dramedy 50 e 50), creando dei filoni redditizi (quello dei teen movie con protagonisti giovanissimi alle prese con un dramma talmente grande da condizionare, in modo indelebile, le loro esistenze) oppure finendo per alimentare il grande fuoco fatuo del dramma gratuito, in cui le situazioni gravi e devastanti nelle quali incappano i protagonisti si sommano fino a diventare una catena inestricabile di sterili disgrazie roboanti.
In questo panorama limaccioso e variegato distinguersi diventa una vera sfida: per farlo, c’è bisogno di cuore ma soprattutto di intelligenza, talento e senso della misura, senza i quali è difficile mettere a segno un risultato capace di distinguersi. Ed è proprio seguendo queste ideali linee guida che Tiziano Russo – già regista della quinta stagione della serie cult Skam Italia – approda dietro la macchina da presa per girare Noi anni luce, che potrebbe sembrare uno dei tanti teen drama pianificati a tavolino e che invece si rivela come una vera sorpresa cesellata ad arte.
Presentato in anteprima all’ultima edizione del Giffoni Film Festival e in uscita nelle sale il prossimo 27 luglio, il film racconta la storia di Elsa (Carolina Sala, Vetro), una ragazza di 17 anni che, all’improvviso, scopre di essere affetta da leucemia. La sua unica possibilità di salvarsi è un trapianto di midollo, ma il solo a poterglielo donare è suo padre che non ha mai conosciuto. Inizia così il racconto di formazione di Elsa, che intraprende questo viaggio on the road alla ricerca dell’uomo che può salvarle la vita. Ad accompagnarla c’è Edo (Rocco Fasano, Skam Italia e Non mi uccidere), un ragazzo conosciuto in ospedale affetto dalla sua stessa malattia. Non sembra esserci nulla che accomuni Elsa ed Edo tranne il fatto di avere la stessa malattia, dalla quale lui però è ormai quasi guarito. O almeno, questo è ciò che le ha detto…
Un viaggio nell’autoconsapevolezza
Noi anni luce è, appunto, una vera sorpresa, perché si mostra fin da subito dotato di quella maturità in grado di conquistare un pubblico ampio e variegato, dai giovanissimi fino agli adulti più esigenti, sfiorando con delicatezza le corde emotive che vibrano in ogni spettatore. La confezione è ancora una volta quella del teen drama con protagonisti due adolescenti in lotta con la vita (che ha regalato loro numerose difficoltà e, soprattutto, una terribile malattia), le sue ingiustizie e le contraddizioni: Elsa ed Edo (gli intensi Sala e Fasano, affiancati dall’esordiente Laila Al Habash e dai veterani Caterina Guzzanti e Fabio Troiano) vorrebbero solo vivere, spensierati e liberi, la loro età. Un desiderio ardente che rischia di trasformarsi in una malinconica utopia.
L’abilità di Russo (e delle sceneggiatrici Isabella Aguilar e Serena Tateo) è quella di “andare oltre”, di usare letteralmente il genere per raccontare qualcos’altro che è ben messo a fuoco nell’intero arco narrativo del processo di scrittura, perché Noi anni luce è la storia di un percorso di autoconsapevolezza che si realizza attraverso un viaggio, che è sia fisico che emotivo, sia a due voci che in solitaria; un percorso per attraversare quattro stadi, quattro fasi che permettono ad ogni essere umano di evolvere e crescere, passando da una comfort zone dietro la quale c’è la tendenza a nascondersi fino ad una growth zone nella quale si è abbracciata la propria identità e, forse, anche il proprio destino.
I generi che Noi anni luce tira in ballo sono molteplici: il filone teen, il coming of age, il dramedy, il road movie, perfino una spolverata crime. Il film fa della contaminazione la propria cifra stilistica, del ritmo veloce e dell’estetica pop una costante, ponendo al centro di tutto due giovanissimi protagonisti che permeano anche il punto di vista dell’intero film, che ruota intorno al loro sentire, alla percezione che hanno di un mondo che gli è concesso di ammirare solo da lontano a causa della malattia.
Carolina Sala e Rocco Fasano hanno superato l’età dell’adolescenza ma riescono a sospendere l’incredulità fermando il tempo: i loro Elsa ed Edo sono realistici, sfumati, definiti dai chiaroscuri tipici dell’esistenza, lontani dalla bidimensionalità spesso richiesta dal genere. Sono entrambi volti e corpi portatori sani di un dolore struggente e di una rabbia giovane, supernove in avaria che si preparano ad esplodere rilasciando talmente tanta energia da lasciare una traccia, indelebile, nella volta celeste, ma anche nello spazio di chi li circonda. La bellezza intatta e malinconica acquista così un sapore più amaro ed immortale, sublimato dalle conseguenze estreme, congelato in una proiezione (sullo schermo d’argento) che abbatte i limiti – e i confini – del tempo e dell’inevitabile fine, sollecitando di nuovo quelle corde emotive che vibrano, potenti, in ognuno di noi.
Per farle muovere, è necessario sapere bene quali tasti premere; e Tiziano Russo sembra saperlo benissimo, conscio delle proprie capacità, del proprio talento e di un’esperienza che gli ha permesso di raccontare la Generazione Z, quel giovanissimo mistero che sembra così distante anche dalla generazione precedente (i Millennials) e che invece ha solo bisogno della propria mappa delle stelle per orientarsi nella sua comprensione.
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