L’ultima cosa che ci si aspetta di trovare al cinema, nel 2024 e dintorni, è un inedito italiano firmato Federico Fellini. Ma è proprio così che è andata. Napoli – New York, regia del premio Oscar Gabriele Salvatores (anche autore della sceneggiatura), arriva nelle sale italiane il 21 novembre per 01 Distribution.
È l’adattamento per il cinema – spiega il regista – di un dettagliatissimo soggetto, quasi un romanzo per immagini, scritto da Federico Fellini e Tullio Pinelli (sceneggiatore e storico partner dell’autore riminese) sul finire degli anni ’40 del secolo scorso. Allora Fellini era soltanto sceneggiatore e le sue storie servivano a nutrire la visione e la fantasia altrui (Lattuada, Germi, Rossellini). Non si andrà più in là del soggetto, come spesso capita nell’ambiente. Il manoscritto sparisce quasi immediatamente dai radar e se non fosse andata come è andata, un provvidenziale ritrovamento, non se ne sarebbe ricordato più nessuno. E invece no. Se ne è ricordato Salvatores e se ne è ricordato anche Pierfrancesco Favino, protagonista di Napoli-New York insieme ai bravissimi e giovanissimi Dea Lanzaro e Antonio Guerra, senza scordarci di Tomas Arana, Omar Benson Miller, Antonio Catania, Anna Lucia Pierro, Anna Ammirati.
È un on the road sui generis, una traversata oceanica e un racconto di formazione, è l’ombra del neorealismo e una favola che, specifica il regista, senza caricarsi di posizioni ideologiche parla alla nostra contemporaneità di italiani e anche al nostro passato. La prima parte è fedele al disegno originale by Fellini-Pinelli. La seconda, è sempre Salvatores che ce ne parla, riscritta superando gli impacci dell’originale. C’era un problema con il finale.
Favola e (neo)realismo
Il problema è che il finale lo scrivono, alla fine degli anni Quaranta, due giovani artisti, Federico Fellini e Tullio Pinelli, che in America non ci sono mai stati, che di New York sanno quello che racconta il cinema o la letteratura, e del sogno americano hanno una visione forse un po’ ingenua e deformata. Troppo ottimistica ma è naturale, la guerra è finita da poco e l’Italia è libera anche grazie al sacrificio di decine di migliaia di giovani americani e va da sé che è impossibile, in quel momento, guardare l’America con occhi diversi.
Gabriele Salvatores rimette mano a Napoli – New York settant’anni dopo. È impossibile, sentire le stesse cose nello stesso modo dopo così tanto tempo. Resta l’essenza della storia, la favola giovane nello spirito e nello sguardo costruita su un’insopprimibile fame di vita, indipendenza e libertà. Ci sono degli aggiustamenti, anche evidenti, per metterla in sincrono con il mondo di oggi, senza dissacrare o mancar di rispetto al cinema e ai maestri del passato. Comincia tutto a Napoli, poco tempo dopo la fine della guerra.
La città è un cumulo di macerie. Celestina (Dea Lanzaro) soffre una perdita dolorosa in un brutto incidente e tutto quello che le resta è Carmine (Antonio Guerra), amico fraterno. Tentano di sbarcare il lunario in città ma le prospettive sono deprimenti. Carmine ha degli affari in sospeso con l’americano Omar Benson Miller che lo portano, insieme a Celestina, su una nave diretta a New York in qualità di clandestini, inseguiti dal capitano Tomas Arana e soprattutto dal commissario di bordo, il signor Garofalo (Pierfrancesco Favino).
Celestina ha un motivo molto importante per andarsene via da Napoli. A New York c’è sua sorella Anna Lucia Pierro, e con lei la speranza di un futuro migliore. La prima metà di Napoli-New York è Napoli e il mare. La seconda, New York. Il sogno americano è un’illusoria promessa, una possibilità concreta e una bugia pietosa. Il film cerca di venire a patti con l’ottimismo del soggetto originale. È una favola realistica, anzi neorealistica, piena di speranza e voglia di vivere ma anche di amarezza e implacabile lucidità.

Film politico ma senza ideologia
Gabriele Salvatores, con Napoli – New York, gira un film politico senza ideologia. Nessun indice accusatore, piuttosto il doveroso richiamo a una memoria storica troppo spesso trascurata negli ultimi tempi e che ci ricorda che una volta erano gli italiani, i migranti guardati con sospetto e emarginati. Il film parla, è vero, di migrazione e identità, di solidarietà e accoglienza, ma lo fa immergendo le sue riflessioni – e la sua provocatoria umanità – in un contesto fiabesco e fuori del tempo. E sì che gli sfondi, le acconciature, le insegne all’ingresso dei cinema stanno lì a ricordarci che il film arriva da un mondo molto lontano dal nostro; ma è anche del presente che si parla. Napoli – New York oscilla in equilibrio instabile tra passato e presente.
Ha una curiosa visione della famiglia: moderna, radicale, un po’ anticonformista. Quando Celestina e Carmine arrivano a New York in cerca della sorella di lei – la troveranno, ma non come sperano – le cose si mettono molto male. Per fortuna che c’è Garofalo, che con la moglie Anna Liberati è tutta la vita che sogna un figlio ma senza fortuna e ora, forse, gliene arrivano due. È, per esplicita ammissione del regista, uno degli interventi più significativi sull’intelaiatura del soggetto originale, il vissuto del personaggio interpretato con esuberanza e qualche asprezza da Pierfrancesco Favino. La piccola grande rivoluzione, Fellini e Pinelli non potevano pensarla all’epoca, è la risposta che i ragazzi daranno alla proposta di Garofalo e consorte. E questa risposta ci porta dritti al cuore di Napoli-New York, favola e racconto di formazione. Due giovani corpi e due spiriti prendono le misure alla vita, imparando a piegarsi senza spezzarsi. Prima di ogni altra cosa, il film è il racconto di corpi giovani affamati di vita, di libertà, autonomia e indipendenza. Superano, senza per questo voler stravolgere il mondo, la morale familiare tradizionale.
Colpisce, della regia di Gabriele Salvatores, la disponibilità a riconoscere ai piccoli e bravissimi Dea Lanzaro e Antonio Guerra lo spazio e la possibilità di essere bambini autentici anche oltre le necessità della storia e gli artifici del mestiere. Il gioco di Napoli-New York è un pericoloso – ma gratificante, se ben affrontato – equilibrismo tra passato e presente, tra il riconoscimento dell’ingiustizia (l’intolleranza, il razzismo, il bieco egoismo) e la speranza di un mondo diverso (il sogno americano di Fellini e Pinelli, la solidarietà tra gli uomini). Fiaba e neorealismo; funziona meglio la prima parte, Napoli e la traversata, lì dove l’originale è più incisivo perché ancorato a una realtà che i suoi autori conoscevano bene. La seconda parte, il frammento newyorchese, si concede il lusso di qualche parentesi non sempre rifinita a dovere (bene l’esuberante direttore di giornale Antonio Catania, un po’ sacrificata Anna Lucia Pierro) e perde qualche giro. In bilico tra passato e presente, fiaba e realtà, Napoli-New York è spettacolo con un’anima.