Sono almeno quattro le generazioni cresciute a pane, latte e picchiaduro videoludici. Ognuna di queste ha il suo titolo prediletto. I ragazzi nati tra gli anni ’70 e ’80 ricorderanno con nostalgia le serata passate in sala giochi a sfidare gli amici a Street Fighter, mentre quelli cresciuti nei primi ’90 hanno messo a dura prova i tendini delle loro mani in sfide infinite a Tekken, Soulcalibur e, ovviamente, Mortal Kombat. Tutti videogiochi che, per inciso, non sono mai passati di moda, tanto che alcuni di loro ancora oggi continuano ad essere rieditati per le nuove console. Tra questi, Mortal Kombat è stato sicuramente uno dei più iconici. Non a caso, fu uno dei primi – insieme a Street Fighter, che lo anticipò di un anno – ad essere trasposto al cinema da Hollywood. E forse non è neanche un caso che sia ancora lui, oggi, ad essere riproposto al grande pubblico (non in sala, ma in streaming) grazie a un reboot che sarà distribuito – in Italia – da Sky e NOW Tv a partire dal 30 maggio.
Cole Young (Lewis Tan) è un giovane padre di famiglia che sbanca il lunario come lottatore in infime palestre di Chicago. La sua esistenza cambia per sempre quando si imbatte in un misterioso e spietato combattente mascherato in grado di manipolare il ghiaccio, Sub-Zero (Joe Taslim). Salvato dal leale Jax (Mehcad Brooks), Cole scopre dell’esistenza di un torneo di arti marziali che lega indissolubilmente il destino della terra a quello di altri mondi paralleli. In compagnia dell’agguerrita Sonya Blade (Jessica McNamee) e del poco di buono Kano (Josh Lawson), si reca così alla ricerca del fantomatico tempio del leggendario Lord Raiden (Tadanobu Asano) per apprendere l’arte del combattimento. Qui fa la conoscenza dei prodi Liu Kang (Ludi Lin) e Kung Lao (Max Huang), che lo aiuteranno a forgiare non solo il suo corpo, ma anche il suo spirito guerriero. Nel frattempo, il perfido stregone Shang Tsung (Chin Han) assolda un manipolo di guerrieri per sterminare i loro rivali terrestri prima dell’inizio dei combattimenti ufficiali.
Scrivere della nuova trasposizione cinematografica di Mortal Kombat non è semplice. Il rischio è di risultare eccessivamente severi nei confronti di un film che non ha chissà quali ambizioni se non quella di convincere la propria (nutrita) fanbase (obiettivo, a dire il vero, che non siamo sicuri il film raggiunga). Il problema, però, è che nel film diretto dall’esordiente Simon McQuoid e “scritto” da Greg Russo e Dave Callaham (che oltretutto non è uno sprovveduto, essendo lo sceneggiatore del Wonder Woman 1984 e del prossimo film Marvel Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli) non funziona praticamente niente. Scialbo, a tratti noioso, sconclusionato da un punto di vista narrativo, e contraddistinto da sequenze d’azione pressoché statiche e personaggi tratteggiati superficialmente.
Sfidando costantemente il ridicolo – una battaglia impari, a dire il vero -, Mortal Kombat sembra più preoccupato di concedere spazio a gran parte dei personaggi principali della saga videoludica (tra coloro che appaiono anche Mileena, Goro, Kabal e Scorpion) che a raccontare una storia quantomeno credibile a livello drammaturgico. Ridicolo quando si affida a toni grevi, imbarazzante quando invece vorrebbe alleggerire la narrazione con battute o situazioni comiche che sarebbero risultate vecchie venti anni fa. E quel che è peggio il finale aperto minaccia la distribuzione di un sequel.