Nelle prove a tempo dei videogame di auto si trova spesso l’impostazione “fantasma”, che permette di gareggiare contro la propria performance migliore, mostrata sotto forma di ectoplasma su pista. In Mission: Impossible – Dead Reckoning Parte Uno a gareggiare in una sfida all’ultimo secondo è Tom Cruise, impegnato in un doppio combattimento: il primo contro la minaccia fantasma del film, una entità digitale autocosciente sfuggita al controllo degli uomini che rischia di compromettere per sempre la distinzione tra verità e finzione nel mondo, il secondo contro se stesso. Quest’ultima competizione è probabilmente quella che sta più a cuore all’attore, impegnato nel superare sfide acrobatiche e produttive sempre più impossibili, accarezzando la speranza di raggiungere incassi ancora più stratosferici di quelli conseguiti con Top Gun: Maverick (quasi 1,5 miliardi di dollari di incassi worldwide).
E questo settimo film della serie inaugurata nel lontano 1996 da Brian De Palma è veramente destinato a fare la storia del cinema; non solo perché si tratta di una mega produzione girata in uno dei momenti più complessi dell’epoca recente, ovvero in piena pandemia da Covid (con costi lievitati fino a raggiungere la cifra monstre di 290 milioni di dollari), ma anche perché vede Tom Cruise esibirsi, rigorosamente senza controfigura, in sequenze d’azione sensazionali e uniche. Due quelle principali, utilizzate da diversi mesi come potente strumento di marketing: quella in cui Ethan Hunt si lancia a bordo di una moto da un monte e quella in cui combatte su un vagone in movimento dell’iconico Orient Express.
A queste si aggiungono spettacolari inseguimenti tra le vie di Roma, le calli di Venezia e le dune del deserto, realizzati con una dovizia di particolari e realismo che produzioni altrettanto costose possono solo sognare. La cura delle scenografie, l’attenzione alle coreografie dei combattimenti, la scelta delle location e i raccordi geografici, la fotografia, i costumi e l’intera messa in scena donano al film una consistenza e solidità visiva negata alla maggior parte dei film degli ultimi decenni, al netto di qualche sbavatura che si sarebbe potuta evitare (la CGI di alcune sequenze durante la caduta del treno, un raccordo sbagliato).
Questo impianto così apprezzabile, che lascia intravedere anche ai non addetti ai lavori l’enorme dispendio produttivo profuso, rischia di essere inficiato da un ritmo incomprensibilmente appesantito. Quella che all’inizio del film pare essere una struttura interessante, con balzi cronologici, repentini cambi di location, un atipico insistere su personaggi e dialoghi, si trasforma subito dopo in verbosità non richiesta, contorsionismi narrativi ed enfatiche insistenze, anche musicali, su momenti privi di interesse. In una trama che va lentamente sfilacciandosi, anche i momenti più spettacoli perdono così di credibilità e interesse, diventando pretestuosi.
Cosa manca a questa nuova avventura di Ethan Hunt?
A Mission: Impossible – Dead Reckoning Parte Uno, forse anche perché prima parte di due, manca un contesto credibile, una visione, una minaccia realistica, del trasporto emotivo che lasci, anche solo per qualche secondo, davvero con il fiato sospeso. Manca il coinvolgimento, l’effetto “wow”, i momenti epici, nonostante sia un film pensato per compiacere il pubblico in ogni suo aspetto; abbondano, invece, digressioni un po’ inutili e insistenti primi piani, che vorrebbero dare al film uno spessore che non ha, finendo per rallentarlo con almeno venti minuti sacrificabili (il film dura 163 minuti).
Due aspetti della scrittura vanno, tuttavia, messi in evidenza. Il primo è che, nonostante Tom Cruise giochi apertamente a imitare James Bond, Indiana Jones, Dominic Toretto e John Wick, alla fine a prevalere è Ethan Hunt, eroe stavolta particolarmente fallibile, scisso, umano, con vulnerabilità e amici da proteggere, rabbia e un passato che riemerge. Nonostante le controparti femminili (Grace – Hayley Atwell, Ilsa Faust – Rebecca Ferguson, Alanna Mitsopolis – Vanessa Kirby e Paris – Pom Klementieff) gli rubino la scena per quasi tutto il film, alla fine Hunt resta il perno attorno al quale gira l’ottovolante, il vero motore della storia nonché il principale motivo di interesse del film, grazie alla totale immedesimazione con la sua controporte in carne ed ossa, l’intrepido, autentico e spericolato Tom.
Secondo aspetto degno di nota, la capacità con cui questo M:I 7, scritto più di quattro anni fa, ha anticipato con precisione quasi chirurgica uno dei temi di maggiore attualità, ovvero le intelligenze artificiali che stanno, progressivamente, infiltrandosi nella nostra quotidianità, alterando il modo in cui entriamo in contatto con il mondo. Visori a realtà aumentata, dati manipolati in tempo reale, guerre scatenate a causa di fake news, l’intelligence che torna a utilizzare vecchi satelliti russi e computer offline: tutti aspetti riconducibili a una quotidianità tangibile, che gli sceneggiatori, Christopher McQuarrie (anche regista) ed Erik Jendresen, hanno saputo intercettare in modo intelligente. Come andrà a finire? Tom vincerà anche questa sfida o sbancare il botteghino a luglio si rivelerà una missione… impossibile?