Prima di tutto, un piccolo passo indietro. È il 2014 e Google sta promuovendo a spron battuto il progetto Glass, i celebri occhialetti che per questioni principalmente legate alla violazione della privacy non raggiungeranno mai il grande pubblico, venendo estromessi da utilizzi civili solo due anni dopo.
Per lanciare i Google Glass, il colosso di Mountain View fa realizzare agli studenti della USC School of Cinematic Arts un cortometraggio, diretto dal ventiduenne Aneesh Chaganty. Il risultato è Seeds, che in due minuti e mezzo racconta il (finto) viaggio di un giovane che dagli USA torna alla sua casa natale in India, per annunciare alla madre che sta per avere un figlio. Il corto, girato interamente con i Google Glass, viene pubblicato il giorno della festa della mamma ed è un successo: un milione di visualizzazioni in 24 ore.
Quattro anni dopo Chaganty è al Sundance Film Festival per presentare il suo primo lungometraggio, Searching, che diventa un piccolo caso: acclamato dalla critica (si porta a casa il NEXT Audience Award, il Premio Alfred P. Sloan conferito ai film incentrati sul tema della scienza o della tecnologia e l’Amazon Studios Producers Awards), incassa 75 milioni di dollari a fronte di un budget di 880.000 dollari.
L’idea è brillante: girare un intero film solo attraverso gli schermi e gli obiettivi dei dispositivi che ci circondano, ovvero computer, smartphone, televisori, camere di sicurezza. Non inquadrature soggettive come quelle dei Google Glass, dunque, ma uno sguardo mediato dalla tecnologia che attraverso un intelligente gioco di riflessi e animazioni restituisce al film, un dinamismo pari a quello di qualsiasi action movie, e allo spettatore una attraente sensazione di familiarità – a tal punto che la schermata iniziale con lo sfondo Windows avrà ingannato più di uno spettatore.
Altri cinque anni (e una pandemia) dopo arriva in sala Missing, sequel standalone di Searching, questa volta diretto da Nick Johnson e Will Merrick, con un budget maggiore (7 milioni di dollari) ma la mano di Aneesh Chaganty ancora dietro le quinte, a firma del soggetto. Il film lavora sulla stessa idea del precedente, sia nella forma che nei contenuti: modifica leggermente il plot – nel primo c’era una figlia che scompariva e un papà sulle sue tracce, in questo una figlia che si mette alla ricerca disperata della madre – e anche stavolta imbastisce un intreccio interessante, pieno di colpi di scena, ribaltamenti e false piste.
Un thriller godibile dall’inizio alla fine
In alcuni momenti il meccanismo subisce qualche sbandamento in termini di credibilità, sotto il peso di troppe giravolte narrative e per via della naturale limitatezza delle location, ma per fortuna il ritmo si mantiene sempre alto, complice una buona colonna sonora firmata da Julian Scherle (Mr. Robot, American Horror Story).
L’aspetto stilisticamente più interessante di Searching consiste nell’aver arricchito di nuovi espedienti registici il già ottimo lavoro fatto nel precedente film, con alcune trovate geniali – due su tutte: la cornice meta-cinematografica in cui si muove l’intero film (alla fine vorrete vedere anche voi un episodio di Unfiction) e i giochi di “attraversamento dello specchio” dei concitati minuti finali, che fanno passare lo sguardo dello spettatore in un frattale di dispositivi, dal PC allo smartwatch, dallo smartphone alle camere di sicurezza, dal browser alla voce di Siri. La regia muove i punti di vista con una naturalezza e una semplicità tali che a stento ci si accorge di essere rimbalzati da un occhio elettronico all’altro, complice la dimestichezza totale che abbiamo, soprattutto dopo la pandemia, con gli impalpabili filtri che ci separano dal mondo.
Questo lavoro “mimetico” è un riflesso del non meno interessante e ampio discorso che entrambi i film portano avanti sulla tecnologia, spingendoci a considerarne allo stesso tempo pregi e difetti, a seconda dell’uso/abuso che se ne fa. Da un lato ci sono la perdita del contatto con la realtà, la preoccupante quantità di dati personali che disseminiamo ovunque senza rendercene conto, l’agorà online pronta a giudicare, condannare, esaltare, mistificare, la possibilità di nascondersi dietro infiniti avatar e di spiare chiunque nell’ombra.
Dall’altro l’utilità dei sistemi di tracciamento in caso di emergenza, la rete di solidarietà attraverso i social, gli incontri imprevedibili resi possibili da nuovi canali, i mille e uno modi attraverso cui la tecnologia può avvicinarci anziché allontanarci. Per questa sua capacità di mettere in evidenza luci e ombre del mondo che ci circonda attraverso una vicenda abbastanza plausibile, resa in modo accurato, Missing merita un plauso e l’interesse del pubblico.