mercoledì, Dicembre 6, 2023
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Memory, recensione del nuovo action thriller con Liam Neeson

La recesione di Memory, nuovo action thriller con protagonista Liam Neeson, diretto da Martin Campbell. Dal 15 settembre al cinema.

Gli ammiratori più tenaci di Liam Neeson e Guy Pearce si facciano avanti: forte dell’hollywoodiana “coppia d’assi”, Memory li attende in sala, fra sbirri e sicari divorati dall’ira, ma ambedue prede di acciacchi, innocenze rubate, conti da regolare e colpi di semiautomatica esplosi alla testa di rifiuti umani. Tutti gli altri si astengano. Cos’abbia spinto i produttori Moshe Diamant (Spartan) Arthur Sarkissian (Ancora vivo) e Cathy Schulman (Crash: Contatto fisico) a ripescare un non eccelso ma intrigante polar d’inizio Duemila, l’olandese La memoria di un killer di Erik Van Looy – ispirato a Mr. Angelo Alzheimer (Manteau; ‘85) di Jef Geeraerts (discusso giallista, di lui si lessero in Italia, per Feltrinelli, unicamente i romanzi Sono solo un negro e Il racconto di Matsombo) – e stravolgerlo con una simile revisione, piatta e prolissa, quasi certamente destinata al circuito home video se non fosse per i suoi “divi” (insieme per la prima volta), rimane un fitto mistero.

D’accordo che una casa distributrice d’essai (la BIM, nel nostro caso) rinfocoli la voglia di tornare al cinema accogliendo nel listino anche opere di genere, a patto che queste abbiano qualcosina da dire, promessa che l’ultima fatica di Martin Campbell disattende (quasi) ad ogni livello: non c’è, infatti, riga di dialogo che lo spettatore non intuisca almeno 5’ prima (gli ennesimi “veterani del piombo caldo” che, sorseggiando tequila, biascicano «Quelli come noi non smettono mai di lavorare» fanno venire il latte ai gomiti) o trovata, atmosfera, carattere e bozzetto psicologico che la filmografia, francese e americana, delle ultime due decadi (e non solo) non abbia già offerto e con ben altri esiti.

Tralasciando qualche passaggio, la vicenda, ambientata al confine tra Messico e USA, si riassume così. Due destini, due vite alla deriva, opposte e complementari, si incontrano a causa (o con l’aiuto) di Beatriz (Mia Sánchez), adolescente troppo presto seppellita nella sporcizia del mondo. Durante un’operazione in borghese, sotto gli occhi stessi della ragazza, il detective Vince Serra (un misurato e credibile Pearce) le uccide inavvertitamente il padre (Antonio Jaramillo), noto trafficante di clandestini e sfruttatore di prostitute minorenni, Beatriz compresa. Assassino di lungo corso, Alex Lewis (l’inossidabile Neeson) viene assoldato dal viscido Borden (Daniel De Bourg) per mettere a tacere per sempre un certo Ellis Van Camp (Scot Williams) e, dopo di lui, la riottosa giovane messicana. Per il nostro il primo “bersaglio” è pura routine ma, appresa l’età del secondo, Alex fa un passo indietro: «Niente donne, niente bambini» teorizzava già il laconico Léon di Jean Reno. Ciò non impedisce a Borden di mettere a libro paga un altro professionista (Lee Boardman) che termini il lavoro. Cosa che avviene, in barba al programma di protezione-testimoni e al “rifugio” che Serra, sentendosi responsabile, trovò per Beatriz in casa della cognata (Sigal Diamant). Del resto, quando è in gioco la reputazione di una fra le operatrici immobiliari più influenti di El Paso – suo figlio Randy (Josh Taylor), “cliente” di Beatriz, è stato ripreso da Van Camp di nascosto con una videocamera e dal medesimo ricattato – il denaro fa premere i grilletti senza alcun rimorso.

Serra è deciso a vendicare Beatriz e ugualmente Alex che ha intravisto nella poverina il bambino puro e libero che avrebbe dovuto essere e non è stato, umiliato e ripetutamente seviziato dal padre alla stessa maniera. Il detective non si lascerà intimidire dalle infinite risorse di Davana Sealman (Monica Bellucci, al punto più basso della carriera), così si chiama la magnate dell’edilizia, sorta di melliflua Contessa Báthory anglo-abruzzese (sic!); né si fermerà il sicario, a dispetto dell’Alzheimer che sta corrodendo, a poco a poco, la mente sua e dell’amato fratello maggiore Paul (Ljubomir Bachvarov)…

memory

Un thriller piatto, guastato da molesti stereotipi

Memory è un remake loffio, guastato da molesti stereotipi (es. la poliziotta d’origine indiana [Taj Atwal], alle prime armi, in vena di sussulti post-femministi) e colpi di scena che fanno rimpiangere, non è una battuta, il casereccio Miami Supercops («L’aquila assicura il vostro futuro»: a buon intenditor poche parole). Due aspetti forse si salvano: neozelandese, classe ’43, il sensibile Campbell inscena, dodici anni dopo l’interessante e sottovalutato Fuori controllo con Mel Gibson, un’altra forsennata corsa verso la morte, tetra parabola di uomini soli, affranti (Serra ha perso i suoi cari in un’incidente d’auto, Alex sta pagando il prezzo del tempo, delle sue più letali illusioni: allungare la propria vita bruciando quelle altrui, pulire la società dai “vermi” per poi scoprirsi “verme” egli stesso), non più giovani, ai quali non resta altro che l’odio e il “vizio” di distruggere, facile come respirare; ebbene se mai questa nuova “corsa” filmica lascerà vibrare, talvolta, corde profonde nel pubblico sarà merito del solido mestiere di interpreti e regista (di lui si riscoprano gli esiti migliori: Fuga da Absolom e Beyond Borders), entrambi abbastanza convinti di ciò che stanno impersonando o narrando. Nessuna iperbole, superpotere o tentazione visiva di stampo “video-ludico”, soltanto rughe, incubi, sconforto, piaghe sanguinanti e bisogno di “credere” ciascuno umanissimo, mentre la Grazia, sotto forma di colombi (non proprio bianchi) alla John Woo, vola attorno ai protagonisti. Ma non scende mai su di loro.

Il che ci porta al secondo aspetto eventualmente da salvare, mai davvero approfondito dal copione di Dario Scardapane – il quale già sfogliò, con l’epico Posse (’93), una fosca pagina di storia americana ossia il conflitto con la Spagna per Cuba (1898) – nondimeno curioso: «Disegno deserti» afferma Beatriz in una rara parentesi di serenità. E quel deserto rosso e ocra si chiama… Messico. È l’ultima Frontiera, l’ultimo “viaggio” dell’homo americanus. L’unica terra al mondo che ancora non riesce a “possedere”. Cuore che può mondare una “patria / corpo” cagionevole (Debito di sangue), viceversa cuore “malvagio” da estirpare prima che ne inquini l’anima (Rambo: Last Blood), teatro di “pagane” torture (Borderland) e innumerevoli crimini impuniti (oltre 370 donne furono rapite, stuprate e barbaramente uccise nel ’93 a Ciudad Juárez e nello stato di Chihuahua: il caso venne ricostruito dal film Bordertown e si accenna pure in Memory per bocca dell’agente Marquez [Harold Torres]), il Messico, lasciati alle spalle i soprusi dell’amministrazione Trump, può oggi sollevare e di fatto solleva la voce, perlomeno sul grande schermo, gridando “no”; esibisce le “stimmate” della secolare violazione e travisamento culturale sul volto di Beatriz la quale, moderna Sant’Agnese che non intende perdonare il boia, alza la mano (o chi in Sua vece) contro i nemici dei compatrioti, punendoli con spietata, rituale precisione. La popolare preghiera ispanica a Lei rivolta non avrà più lo stesso significato dopo che l’avrete ascoltata nel thriller di Campbell: «Oh, pequeña Santa Inés, tan joven y a la vez tan fuerte y sabio por el poder de Dios, protege con tus oraciones a todos los jóvenes de cada lugar cuya bondad y pureza se ven amenazadas por los males e impurezas de este mundo».

Degne, infine, di nota le scene del grande Wolf Kroeger (L’anno del dragone) e le immagini di David Tattersall (Next). Per un confronto, si consigliano L’ultima missione di Olivier Marchal e Il nemico invisibile di Paul Schrader.

Guarda il trailer ufficiale di Memory

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Sbirri e sicari divorati dall’odio, innocenze rubate e pegni di sangue. Con Memory il regista Martin Campbell e lo sceneggiatore Dario Scardapane trasportano il romanzo “Mr. Angelo Alzheimer” di Jef Geeraerts ai nostri giorni, tra Messico e USA. L’esito è un thriller piatto, guastato da molesti stereotipi. Solo la coppia di divi, Neeson e Pearce, insieme a qualche sporadica riflessione evitano (in parte) il disastro.
Giordano Giannini
Giordano Giannini
I VHS sono stati fedeli compagni di gioco; mostrandoci “Il ragazzo selvaggio” di Truffaut in quarta elementare, la maestra mi ha indicato, senza volerlo, la strada da seguire | Film del cuore: La strada per il paradiso | Il più grande regista: Andrej Tarkovskij | Attrice preferita: il “braccio di ferro” è tra Jennifer Connelly e Rachel Weisz | La citazione più bella: "Tra quegli alberi c’è qualcosa." (Predator)

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Sbirri e sicari divorati dall’odio, innocenze rubate e pegni di sangue. Con Memory il regista Martin Campbell e lo sceneggiatore Dario Scardapane trasportano il romanzo “Mr. Angelo Alzheimer” di Jef Geeraerts ai nostri giorni, tra Messico e USA. L’esito è un thriller piatto, guastato da molesti stereotipi. Solo la coppia di divi, Neeson e Pearce, insieme a qualche sporadica riflessione evitano (in parte) il disastro.Memory, recensione del nuovo action thriller con Liam Neeson