venerdì, Settembre 29, 2023
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Memory, recensione del film con Jessica Chastain e Peter Sarsgaard

La recensione di Memory, il nuovo film di Michel Franco con protagonisti Jessica Chstain e Peter Sarsgaard, presentato in Concorso a Venezia 80.

Spesso l’altruismo è una forma di aiuto verso se stessi in primo luogo, perché permette di non pensare ai propri drammi e ai fantasmi del passato. Michel Franco sembra avere una predilezione per chi dedica la propria vita agli altri. Il regista messicano torna a Venezia dopo la vittoria del Gran Premio della Giuria alla 77esima edizione della Mostra con Nuevo Orden.

Già con Chronic analizzava la vita di un infermiere estremamente capace nella sua professione ma che nella vita privata non era in grado di avere relazioni umane. E così è anche la protagonista Sylvia, interpretata dal premio Oscar Jessica Chastain, un’assistente sociale impiegata presso una struttura per adulti, occupandosi di vari problemi sociali. È una madre single con una bambina di 15 anni e un passato di abusi e alcolismo con cui fare i conti. Una sera, ad un anniversario scolastico incontra Saul (Peter Sarsgaard), un uomo affetto da demenza senile che la segue. Un rapporto, il loro, caratterizzato da lunghi sguardi e interminabili silenzi.

Una storia ambientata in una New York claustrofobica, fatta di boschi, clima gelido, ben lontana dalla metropoli conosciuta a livello internazionale. Le luci, la musica, il caos, vengono sostituiti dal silenzio dei personaggi che vivono una lotta continua, una lotta che non riescono a far emergere fuori.

Jessica Chastain torna a Venezia dopo il riuscito remake di Bergman – Scene da un matrimoniocon un altro ruolo altrettanto tormentato, sofferente. Non riesce a vivere il presente perché non ha superato i traumi del passato, che ha tentato invano di superare attraverso l’alcolismo. Ora va avanti arrancando e trascinandosi in un’esistenza vuota senza che ci sia alcuno spiraglio di speranza. Inoltre, non ha fiducia negli uomini, che vede tutti come potenziali abusatori. Peter Sarsgaard è invece un uomo che ha dimenticato il passato e che forse vaga in cerca di qualcosa. L’incontro tra i due è sì casuale, ma allo stesso tempo programmato dal destino, da Dio, o chissà.

Un melodramma dolce, essenziale nella sua semplicità

Pochi dialoghi, una regia essenziale fatta di pochi stacchi, campi e controcampi e inquadrature spesso fisse che tengono insieme tutti i personaggi, aumentando così il senso di claustrofobia. Sylvia e Saul sono entrambi vittime di famiglie che li rifiutano e trovano forza nell’aiutarsi a vicenda attraverso l’amore.

Michel Franco confeziona un melodramma dolce, realistico, ma allo stesso tempo essenziale nella sua semplicità. Non ci sono momenti strappalacrime o monologhi di personaggi che esternano la propria sofferenza: Sylvia e Saul sono semplici esseri umani che vivono in un mondo che li rifiuta perché deboli. Al regista non interessa dare spiegazioni, risolvere i conflitti, se non in un momento in cui attraverso una lite tra Sylvia e la sua famiglia si capisce l’origine del suo alcolismo.

Ma a parte questo momento, a Franco (e di conseguenza anche allo spettatore) interessa solo che i due protagonisti si ritrovino e si abbandonino in un lungo abbraccio. Perché in fondo non si possono superare tutti i problemi, ma ciò che è essenziale è non doverli fronteggiare da soli.

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Michel Franco confeziona un melodramma dolce, realistico, ma allo stesso tempo essenziale nella sua semplicità. Non ci sono momenti strappalacrime o monologhi di personaggi che esternano la propria sofferenza: Sylvia e Saul sono semplici esseri umani che vivono in un mondo che li rifiuta perché deboli. Al regista non interessa dare spiegazioni, risolvere i conflitti: interessa solo che i due protagonisti si ritrovino e si abbandonino in un lungo abbraccio. Perché in fondo non si possono superare tutti i problemi, ma ciò che è essenziale è non doverli fronteggiare da soli.

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Michel Franco confeziona un melodramma dolce, realistico, ma allo stesso tempo essenziale nella sua semplicità. Non ci sono momenti strappalacrime o monologhi di personaggi che esternano la propria sofferenza: Sylvia e Saul sono semplici esseri umani che vivono in un mondo che li rifiuta perché deboli. Al regista non interessa dare spiegazioni, risolvere i conflitti: interessa solo che i due protagonisti si ritrovino e si abbandonino in un lungo abbraccio. Perché in fondo non si possono superare tutti i problemi, ma ciò che è essenziale è non doverli fronteggiare da soli.Memory, recensione del film con Jessica Chastain e Peter Sarsgaard