Martin Eden è il titolo del nuovo film diretto da Pietro Marcello che vede protagonista Luca Marinelli. Presentato in concorso a Venezia 76, il lungometraggio è un libero adattamento dell’omonimo romanzo scritto dall’americano Jack London nel 1909 che ha visto impegnati lo stesso Marcello e Maurizio Braucci nella stesura della sceneggiatura, traslando l’opera dalla California d’inizio secolo alla Napoli novecentesca immaginata dal regista casertano.
Nel film a guidare il cast è – appunto – Luca Marinelli, capace di restituire il mare agitato dei tormenti che animano il giovane marinaio protagonista soprattutto grazie all’espressività dei propri occhi; accanto a lui troviamo inoltre un attore poliedrico come Cecchi, la giovane Cressy e infine Vincenzo Nemolato e Marco Leonardi, rispettivamente nei panni del migliore amico di Martin (Nino) e in quelli di Bernardo, cognato del giovane marinaio.
Dopo aver salvato da un pestaggio Arturo, giovane rampollo della borghesia industriale, il marinaio Martin Eden (Marinelli) viene ricevuto in casa della famiglia del ragazzo e qui conosce Elena (Jessica Cressy), la bella sorella di Arturo, della quale s’innamora al primo sguardo. La giovane donna, colta e raffinata, diventa non solo un’ossessione amorosa ma il simbolo dello status sociale a cui Martin aspira per elevarsi. A costo di enormi fatiche e affrontando enormi ostacoli determinati anche dalla propria umile origine, Martin insegue il sogno di diventare scrittore e – influenzato dal vecchio intellettuale Russ Brissenden (Carlo Cecchi) – si avvicina ai circoli socialisti, entrando per questo in conflitto con Elena e con il mondo borghese che la ragazza incarna.
Martin Eden è un affascinante – quanto complesso – esperimento di “letteratura per immagini”: rappresenta infatti uno dei picchi più alti raggiunti dall’audiovisivo italiano nella contemporaneità, con una narrazione frammentata, post-moderna, che segue le logiche dell’ellissi, della metafora e dell’allegoria più che le strutture tradizionali del racconto nel cinema classico.
L’opera di Marcello risulta complessa, lontana dagli standard e dalle convenzioni canoniche adottate dal cinema mainstream: nel trasporre lo spirito del romanzo di London, la scelta di spostare il focus dalla California alla Napoli babelica – sfondo del “Secolo Breve” – invece di spiazzare finisce per conquistare, sospendendo abilmente l’incredulità dello spettatore che ritroverà il tormento, l’estasi e i dilanianti conflitti interiori del personaggio nato dalla penna di London nelle romantiche (nel senso letterario del termine) avventure del protagonista tratteggiato da Marinelli.
Martin Eden ha un nome che evoca il Paradiso ma un’anima tormentata condannata alla dannazione: e proprio Luca Marinelli è l’interprete giusto per incarnare le contraddizioni, i cambiamenti umani e morali, i chiaroscuri che animano il cuore in tempesta di questo scrittore per vocazione e marinaio per scelta; un (anti)eroe animato da titanica streben pronto a sfidare la vita prima di rendersi conto che, alla fine della tormenta, ha perso il porto sicuro per il quale stava lottando.
Amore, socialismo; fuoco sacro, letteratura, scrittura, politica; e ancora una donna, la cultura, l’emancipazione, l’avventura. Tutto ciò che spinge Martin a muoversi, a cambiare, è legato alla mancanza: un vuoto che deve necessariamente colmare grazie alla trasformazione, ma che finisce per gettarlo nell’anedonia e nel nichilismo. Una volta ottenuto tutto, cosa rimane quando la posta in gioco determinata in partenza era forse troppo alta?
Una volta commesso l’azzardo e dopo aver vinto la propria mano nella partita della vita, Martin perde il focus delle proprie azioni, mutando la narrazione da un racconto di formazione in ascesa verso una malinconica elegia della più rovinosa delle cadute. E Marcello, nel farlo, sfrutta tutto il potenziale della macchina filmica: dilata i tempi, poi li contrae, pone le avventure del marinaio/scrittore sospese nello spazio e nel tempo, perché quella sullo sfondo è Napoli, ma potrebbe essere qualunque altra città portuale; mentre il tempo è volontariamente indefinito, tanto gli anni ’60 quanto il Dopoguerra, con qualche discreta incursione d’inizio secolo e di fine millennio.
Martin Eden è un film affascinante e complesso come un’opera della Beat Generation: Marcello sembra quasi voler sfruttare la tecnica del cut-up tanto caro a William Burroughs per creare un collage d’immagini legate tra loro dal doppio leitmotiv del romanzo e del viaggio nel cuore del ‘900. Affiancando immagini di repertorio found footage alle inquadrature del film, Marcello narra le imprese di un anti-eroe come Eden nascosto in ognuno di noi, un essere umano capace di lottare strenuamente per i propri ideali senza mai farsi abbattere dalla vita, nonostante le delusioni capaci di cambiarne l’animo; un personaggio in grado d’attraversare indenne la Storia fino ad approdare ai giorni nostri.