giovedì, Marzo 23, 2023
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Marcel the Shell, recensione del mockumentary in stop motion di Dean Fleischer-Camp

La recensione di Marcel the Shell, film d'animazione in stop motion diretto da Dean Fleischer-Camp. Nelle sale dal 9 febbraio.

C’è un grosso rischio che aleggia quando un prodotto della pop culture come, ad esempio, un film – ma anche una serie tv o un fumetto – cerca di analizzare temi universali e importanti legati ai concetti di vita, morte, tempo ed esistenza: quello di banalizzare la complessità che li attraversa febbrilmente, riducendoli a vuote stringhe di pensiero emerse dal cuore di un biscotto della fortuna.

Tuttavia, non sempre la patina mainstream vanifica gli sforzi del sogno (iperrealistico e filosofico): lo dimostra il piccolo gioiello intitolato Marcel the Shell, film d’animazione – candidato agli Oscar 2023 – pronto ad approdare nelle nostre sale dal 9 febbraio, per la regia di Dean Fleischer-Camp, anche protagonista del film nonché autore del soggetto e della sceneggiatura insieme a Jenny Slate (Everything Everywhere All at Once), doppiatrice originaria del piccolo protagonista, a fianco della veterana Isabella Rossellini nei panni della nonna di Marcel, Connie.

Marcel è un’adorabile conchiglia alta poco più di due centimetri, con un grande occhio e scarpe da ginnastica; vive un’esistenza allegra con la nonna Connie e il loro animale domestico, Alan. Un tempo, facevano parte di un’affollata comunità di molluschi, ma ora sono gli unici sopravvissuti a una misteriosa tragedia. Quando Marcel e Connie vengono scoperti da un regista di documentari, Dean, diventano i protagonisti di un cortometraggio. Marcel si trasforma, in breve tempo, in una vera e propria star e si riaccende in lui la speranza di ritrovare la famiglia perduta grazie al mondo della rete digitale.

Marcel the Shell è l’incarnazione quintessenziale del concetto stesso di “elegia delle piccole cose”: una storia semplice ma in grado di affrontare – e rielaborare – temi universali attraverso gli occhi (letteralmente l’occhio, ça va sans dire), candidi e innocenti, di Marcel. Conchiglia-bambina che non vuole crescere forse per non affrontare le responsabilità della vita adulta, ha però raggiunto quella perfezione utopica (chiamata genio) auspicata dal poeta Edgar Lee Masters e incentrata su un connubio perfetto tra saggezza e giovane età; Marcello “Marcel” ha la grazia e la leggerezza per rispondere ai grandi dilemmi morali e universali senza la corruzione degli adulti, incantato dal rutilante mondo esterno che lo circonda ma al contempo anche spaventato, messo in allarme da una contemporaneità veloce alla quale fatica ad abituarsi.

Uno sguardo intimo sulla bellezza delle piccole cose

Marcel è un transfert ideale di una coscienza pura, fanciullino pascoliano annidato in ognuno di noi sotto le mentite spoglie di una conchiglia antropomorfa; e mescolare il live action con l’animazione in stop motion permette, allo spettatore, di scivolare sempre più a fondo nelle dinamiche relazionali che intercorrono tra i vari personaggi, pronti a delineare delle traiettorie emotive – anch’esse universali – che coinvolgono tutti in modo indiscriminato.

Il piccolo Marcel ha paura dei cambiamenti e non sa affrontarli, spaventato forse anche dalla semplice idea di crescere e diventare, infine, adulto; il documentarista Dean è reduce da una brutta separazione, lasciato solo con il cuore spezzato e in compagnia di un cane, incapace di ricostruirsi un’esistenza. A scuotere la staticità delle condizioni emotive incerte dei due personaggi maschili è la presenza femminile di Connie la quale, nonostante la malattia incalzante (una forma di demenza senile), si batte per accompagnare il nipote nel suo coming of age, sostenendolo e insegnandogli l’arte di vivere, mentre sono tutti coinvolti nella ricerca della famiglia di conchiglie.

Un nucleo familiare, certo, ma anche una comunità intera scomparsa dalla propria abitazione: Marcel the Shell è una storia di legami tra genitori (effettivi o putativi) e figli, amici, fratelli ma anche membri di uno stesso grande gruppo che si sostiene a vicenda, costituendo quella rete assistenziale alle base del concetto stesso di società, recuperando inoltre una dimensione più archetipica, intima e personale, lontana dalla mondanità e dagli eccessi del macrocosmo contemporaneo, percorso dalla febbre dei social e della necessità di apparire ad ogni costo, creando community virtuali immerse in un meta-verso distante, rarefatto e lontano da ciò che rende unica la nostra specie: l’umanità, la necessità inconscia di realizzarci vivendo insieme agli altri per espletare la nostra funzione di “animali sociali”.

Può però, una conchiglia, raccontare gli esseri umani? Assolutamente sì, come dimostra Marcel the Shell grazie alla dolcezza dello sguardo, sottolineato da una focalizzazione zero – lo spettatore condivide infatti lo stesso punto di vista di Dean il documentarista – e dalla lungimiranza di uno sguardo attento e intimo sulla bellezza delle piccole cose insondabili, che finiscono per costituire un “tutto” con il quale è importante connettersi, per ritrovare finalmente se stessi.

Una lezione sulla vita, ma anche sulla morte e la rielaborazione del lutto, sulla perdita e sul dolore, sulla leggerezza e sulla pesantezza che si rincorrono ininterrottamente in un eterno valzer degli addii, delineata attraverso le parole semplici – ma profonde – di una creatura fantastica, infinitesimale quanto misteriosa, buffa e “aliena”, pronta a gettare sulle umane vicende un punto di vista unico e personale grazie ad una posizione privilegiata: quei pochi centimetri d’altezza sormontati da un grande occhio vispo e da un “guscio” esterno attraverso il quale si può sentire il richiamo eterno del  mare.

Guarda il trailer ufficiale di Marcel the Shell

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Marcel the Shell è l’incarnazione quintessenziale del concetto stesso di “elegia delle piccole cose”: una storia semplice ma in grado di affrontare – e rielaborare – temi universali attraverso gli occhi, candidi e innocenti, di Marcel. Conchiglia-bambina che non vuole crescere forse per non affrontare le responsabilità della vita adulta, ha però raggiunto quella perfezione utopica (chiamata genio) auspicata dal poeta Edgar Lee Masters e incentrata su un connubio perfetto tra saggezza e giovane età.
Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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