lunedì, Dicembre 4, 2023
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L’uomo nel buio – Man in the Dark, recensione del sequel con Stephen Lang

La recensione del film L'uomo nel buio - Man in the Dark, sequel dell’horror di Fede Alvarez uscito nel 2016. Nelle sale dall'11 novembre.

L’uomo nel buio – Man in the Dark è il titolo del sequel del film horror diretto da Fede Alvarez (Millennium – Quello che non uccide) nel 2016, che vede sempre protagonista l’attore Stephen Lang. Questa volta, dietro la macchina da presa, troviamo il sodale Rodo Sayagues, con il quale Alvarez ha firmato la sceneggiatura oltre a partecipare alla produzione insieme a un’icona del cinema di genere come Sam Raimi. L’uscita del film è prevista, per le sale italiane, per l’11 novembre.

L’ex marine cieco Norman Nordstrom si è ritirato in una capanna isolata tra i boschi, dove vive in pace dopo l’incursione di un gruppo di giovani ladri nella sua abitazione. Sono ormai trascorsi 8 anni e, nonostante la sua cecità, l’uomo è riuscito a sopravvivere, a superare gli orribili eventi dei quali si è macchiato e ha perfino ricreato quella famiglia agognata che ha perso a causa di un incidente d’auto, nella quale ha perso la vita la sua unica figlia. Salva infatti la piccola Phoenix, rimasta orfana dopo che i suoi genitori sono morti in un incendio e la cresce come se fosse sua figlia, insegnandole tutto quello che sa sulla sopravvivenza. Ma quando in casa irrompono alcuni uomini che vogliono Phoenix e sottovalutano Norman, quella quiete in cui l’uomo ha vissuto fino a quel momento inizia a sgretolarsi, costringendolo a tirar fuori il suo lato più selvaggio e sanguinario per salvare la ragazzina.

Il vero problema legato a L’uomo nel buio – Man in the Dark non si annida tanto nell’allestimento scenico, con la macchina da presa onnisciente che insegue i personaggi muovendosi, abile e veloce, come l’uomo cieco protagonista di questi due capitoli cinematografici; il vero problema trascende la forma, annidandosi piuttosto in uno stravolgimento del contenuto a livello semantico. Nel primo film, uscito nel 2016 e diretto da Fede Alvarez (il reboot de La Casa, cult di Raimi), Norman Nordstrom era un reduce che scopriva un gruppetto di ladruncoli nella propria casa, sfogando la propria rabbia e un senso di terribile vendetta su di loro. In Man in the Dark la lezione del sottogenere torture porn sembra ancora aleggiare – ed insidiarsi – nell’orrore di Alvarez: i ruoli e i contorni dei personaggi sono sfumati, la dicotomia tra bene e male si muove su un filo sottile pronto a spezzarsi davanti all’idea che “il male” possa annidarsi all’interno, in un luogo sicuro come la casa.

Come nella lezione del torture porn, l’horror – lente deformante – rilegge la realtà post 11 settembre, il dramma del terrorismo e le sue implicazioni, con il terrore che si insinua nella quotidianità. Questi aspetti saltano completamente in questo sequel, sacrificati sull’altare del mainstream, riequilibrati in nome di una polarizzazione più convenzionale e corretta: i “cattivi” sono realmente cattivi, capaci di atti orribili (e a sangue freddo) privi di ogni minimo segno di pentimento o dubbio; il veterano cieco, da presenza minacciosa e sanguinaria, si trasforma in un vendicatore sulla scia di John Wick, mosso dall’affetto che prova verso una bambina salvata e un cane costretto a lottare per sopravvivere. Una vendetta “giusta” muove l’uomo, costretto ad uccidere per difendersi, riabilitato dai peccati del passato che vengono espiati all’improvviso nel presente filmico. L’uomo nel buio – Man in the Dark stravolge la sua stessa “mitologia”, cambiando completamente pelle in un sequel riuscito ma contraddittorio, slegato dalle tematiche originali.

Le presenze di Fede Alvarez e Sam Raimi (soprattutto l’ultimo, una vera garanzia del genere horror) si trasformano in una certezza per quanto riguarda l’impatto estetico del film: la regia conosce in modo superbo le regole del gioco, mescolando alla tensione l’abilità della narrazione per immagini, spesso pronte a sfociare in estetizzanti quadri macabri o drammatici che incrementano l’impatto emotivo dell’opera sullo spettatore. Se il cinema è il medium nel quale trionfa proprio la narrazione per immagini – soprattutto in un’epoca come la nostra che predilige il dominio di quest’ultime sulla semplice drammaturgia – ecco che questo thriller-horror riesce a raccontare molto più attraverso inquadrature e fotogrammi che tramite le semplici parole del suo script, mostrando dettagli sui personaggi e svelando le loro intenzioni nel rutilante turbinio delle azioni che si dispiegano sullo schermo.

L’uomo nel buio – Man in the Dark è un thriller più d’azione che d’orrore, pronto a contaminare il lato action con scene gore all’insegna dell’exploitation, coreografate da una regia fluida e dinamica che mantiene un ritmo incalzante, pur sacrificando – in nome del mainstream – le interessanti contraddizioni del primo film e una solida sceneggiatura in tre atti. La struttura drammaturgica del film, infatti, sembra allentare le maglie strette della tipica tripartizione narrativa preferendo accelerare, trascinando lo spettatore subito nel cuore di un’azione coreografica ma sterile, priva di quei contenuti che avevano reso interessante il primo capitolo e più convenzionale questo secondo, che trasforma la figura del cieco veterano da mostro della porta accanto in angelo della vendetta.

Guarda il trailer de L’uomo nel buio – Man in the Dark

GIUDIZIO COMPLESSIVO

L’uomo nel buio – Man in the Dark è un thriller più d’azione che d’orrore, pronto a contaminare il lato action con scene gore all’insegna dell’exploitation, coreografate da una regia fluida e dinamica che mantiene un ritmo incalzante, pur sacrificando – in nome del mainstream – le interessanti contraddizioni del primo film e una solida sceneggiatura in tre atti.
Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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