Vi sono film che, a dispetto dell’aspra accoglienza critica, mettono radici, germogliano e spargono dei “semi”. Ad esempio Les uns et les autres (‘81), esito fra i più ambiziosi di Claude Lelouche, ripercorreva un quarantennio di Storia, di qua e di là dall’Oceano, adottando il punto di vista di quattro famiglie (e di coloro che entravano nelle vite dei singoli membri) accomunate dall’amore per la Musica; sull’affollato panorama (linguistico, culturale, sentimentale) si stagliava, lo ricorderete, l’ombra di un Ballerino (il compianto Jorge Donn), muto ed eternamente giovane, evidente incarnazione del Destino, che appariva ad ogni passaggio generazionale e le cui movenze, ogni volta, prendevano forma sulle note del Bolero di Maurice Ravel. Ebbene, il celebre brano, opportunamente trascritto per fanfara e coro, costituisce il cuore pulsante di un’altra pellicola, uscita in patria nel 2022 e oggi accolta da “Movies Inspired” nel proprio listino: L’orchestra stonata.
E se il mondo fosse un’immensa fanfara?
Quarta prova da regista per Emmanuel Courcol (classe ’57, nativo di Angers, interprete e fidato sceneggiatore di Philippe Lioret), accorta mistura di sorrisi, lacrime, tenerezze, riflessioni sulla mancanza di Bellezza patita nell’animo da troppo tempo, En fanfare (questo è il titolo originale) ha per protagonisti Thibaut (Benjamin Lavernhe) e Jimmy (Pierre Lottin), da anni ignari di essere fratelli. Sarebbe troppo lungo spiegarne il motivo (basti sapere, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che la famiglia si conferma vivaio di manchevolezze e bugie) ciò nondimeno, tracciando un disegno crudele quanto contorto (un brutto male si sta portando via Thibaut, Jimmy è l’unico donatore a cui rivolgersi, cosa che avviene senza convenevoli e perfino con una punta di arroganza), il Destino farà incontrare i due. Il rapporto si rivela più facile, cordiale del previsto.
Entrambi cercano la Musica come l’aria: Thibaut è un direttore d’orchestra di livello mondiale, Jimmy lavora nel profondo Nord della Francia come operaio specializzato (da mesi lotta assieme ai compagni per evitare alla fabbrica locale la chiusura) eppure la sua vera natura si intuisce dai rarissimi vinili che gelosamente custodisce in garage, dal trombone che suona nella banda del villaggio. Thibaut riconosce subito nel fratello l’orecchio assoluto: “denutrito”, forse, ma sano. Sarà possibile sdebitarsi, recuperare i giorni perduti, riparare l’ingiustizia causata a Jimmy dall’egoismo famigliare prima e perpetrata poi dall’inadeguatezza del contesto sociale in cui è cresciuto? Rivelare oltre guasterebbe la visione…
Ogni orchestra ha bisogno di una guida
Ogni orchestra degna di tale nome ha bisogno di una guida. Che volto avrà, dunque, il nuovo capo della nostra fanfara di paese, da poco “orfana”? Thibaut o Jimmy? Estremizzando, e se il mondo, l’intera esistenza dell’Uomo fosse un’immensa fanfara? Se così fosse, chi sarebbe il Direttore e cosa dovremmo aspettarci da lui? Sembreranno accettabili ai nostri occhi il suo metro di Giustizia, i comandi della sua bacchetta? La risposta che Lelouche diede in Les uns et les autres riecheggiava la Prima Lettera ai Corinzi (“Non c’è differenza tra chi pianta e chi irriga, ma ciascuno riceverà la sua mercede”).
Quarant’anni dopo L’orchestra stonata ce ne sussurra una simile tuttavia la fiducia verso un Ordine delle cose, potenzialmente infinito come lo sviluppo melodico del Bolero, necessario benché incomprensibile per i criteri umani, che caratterizzava il primo film, implicito modello di Courcol, cede qui il passo al desiderio di fuga, al dolce perdersi in richiami e profumi di “lidi lontani” che le composizioni di Beethoven (Egmont), Mendelssohn (Le Ebridi), Debussy (Preludio al pomeriggio di un fauno), ovviamente Ravel come pure Aznavour (“Emmenez-moi au bout de la terre,/ emmenez-moi au pays des merveilles/ Il me semble que la misère/ serait moins pénible au soleil”) e Dalida (“Let me dance, until I go to the end of the dream”), accuratamente scelte da Michel Petrossian per la colonna sonora, promettono.
Temi affatto banali, dunque, sotto la superficie di una scorrevole, ottimamente recitata (fra gli attori spicca l’espressiva Sarah Suco: la vedemmo in 50 primavere e Le invisibili) commedia dolceamara la quale potrebbe leggersi anche come il moderno “contraltare” di Prova d’orchestra (‘79) di Fellini: dopo l’inferno dell’autoritarismo, l’invadenza di costumi e sonorità “estranee” (l’orchestrina del villaggio di Jimmy sta per essere rimpiazzata da una scuola di danza country), le incognite dell’autogestione, i musicisti (il popolo francese?) sono ora disposti a lasciarsi “condurre”, si spera saggiamente.
I pregi elencati bastano, per fortuna, a spezzare la monotonia del copione (scritto dal regista insieme a Oriane Bonduel, Irène Muscari, Marianne Tomersy e Khaled Amara), prevedibile idea dopo idea. Altri contributi tecnici: scenografie di Mathé (Alma Viva, Banel e Adama) e fotografia di Maxence Lemonnier (En attendant la nuit).