domenica, Giugno 4, 2023
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L’ombra di Caravaggio, recensione del film di Michele Placido

La recensione de L'ombra di Caravaggio, diretto da Michele Placido, con Riccardo Scamarcio nei panni del celebre pittore italiano. Dal 3 novembre al cinema.

Pascal scrisse che nel cuore dell’uomo c’è una lacuna che ha la forma del Divino. E questa lacuna «è l’espressione di una ricerca disperata e tesa verso i due assoluti del tempo, l’eternità, e dello spazio, la totalità ai quali l’uomo guarda sapendo però che la realtà glieli nega» (A. Meluzzi). Nella filmografia italiana degli anni Duemila, Michele Placido è forse la personalità maggiormente presa da tale ricerca. Se in Passio Christi (2021), 63 toccanti minuti incastonati nella cornice del Teatro “Claudio Abbado” di Ferrara, il cineasta e attore ascolano guardava alle sacre rappresentazioni del XV sec. e, in fondo, ad Ignazio Silone – del quale condivide la necessità d’un ritorno ad un cristianesimo primitivo, “non catechistico ed escatologico […], oscillante tra ortodossia ed eresia” (Aliberti, ’90) – ne L’ombra di Caravaggio, tutt’ora in sala con “01”, il nostro suggerisce, e neanche tanto velatamente, che Michele Angelo Merisio (1571-1610) avesse portato, più di ogni altro uomo del suo tempo, Cristo dentro la propria carne, partecipando in modo personalissimo, sospeso e sfuggente, alle Sue sofferenze: rispetto ad altre letture filmiche (Alessandrini, Jarman) avanzate sul pittore (celebre in tutto il mondo col nome della natale cittadina bergamasca), quella di Placido è, a nostro avviso, la più complessa e rischiosa. Non mancherà di sollevare critiche.

«I pubblicani e le meretrici vi precedono nel Regno dei Cieli» così Gesù ammonì scribi e farisei. Coadiuvati da Placido, gli sceneggiatori Sandro Petraglia (Marianna Ucrìa) e Fidel Signorile (La prima linea) prendono alla lettera, fino in fondo il passo dell’evangelista Matteo, raccogliendo sotto di esso, sotto il suo mistero profondo e “scandaloso”, alcuni degli avvenimenti fondamentali nella vita del Caravaggio (Riccardo Scamarcio), concentrandosi sui due soggiorni napoletani (dalla fine del 1606 ai primi di luglio del 1607, il primo; tra il 1609 e il 1610, il secondo) dell’artista nonché quello maltese (ottobre 1608), breve e convulso, «quasi un romanzaccio di cappa e spada» (M. Cinotti). Una spia dell’Inquisizione, personaggio probabilmente inventato o nel quale se ne condensano vari, accompagna il pubblico nella difficile indagine, in un costante andirivieni tra passato e presente strutturato sulla falsariga narrativa di Vergeßt Mozart di Miłosław Luther. Di incontro in incontro, l’Ombra (Louis Garrel), così si fa chiamare la temibile spia, sembra porre in forme diverse un’unica domanda: chi fu davvero Michele Angelo Merisio?

L’unico uomo a non averla deturpata col proprio tocco, per Lena Antognetti (Micaela Ramazzotti); il solo essere che la scrutò con occhi realmente devoti, trasfigurandola nelle fattezze della Madre del Redentore, dapprima nella “Madonna di Loreto” (1604), poi nella “Madonna della Serpe” (1606): almeno una volta, prega orgogliosa la donna, la Chiesa Romana e i potenti della terra si inginocchieranno, ignari di venerare il volto di una pezzente. San Michele Arcangelo, sussurrante dolci parole tra i veli e le agonie malariche dell’ospedale dei poveri: così si presentò, invece, il Merisio ad Anna Bianchini (Lolita Chammah), segnandola al punto di riempire, con quell’immagine e quella voce, i suoi ultimi deliri poco prima di gettarsi nel Tevere. Figlio non carnale ma “spirituale”, ascoltando le parole della marchesa Costanza Colonna (Isabelle Huppert). Maestro dolorosamente fedele ai testi sacri, secondo la piccola Artemisia Gentileschi (Lea Gavino). Strano “amico” munito di Bibbia, pennelli e colori avvolti in uno straccio sporco a detta di un vecchio beone (memorabile cameo di Alessandro Haber) che si compiace, ghignante e scurrile, di vedersi riflesso nel “San Pietro crocefisso” (1600).

Tra gli esiti migliori di Michele Placido

L’Ombra si indigna, si strugge. Sollevando il drappeggio che nasconde la tela “Omnia vincit amor” (1601-’02) gli occhi della spia tremano a causa di un’emozione da condannare. Perché Dio avrebbe scelto un’oscena creatura per “tradurre” il suo Verbo in linee, tinte, movimenti impetuosi come mai erano stati prima d’ora? Quali e quanti miracoli, “presentimenti” ha ricevuto in dono questo indegno figlio. Patendo sempre: Dio dentro di lui, lui dentro Dio. Nessuno dovrà mai sapere. Nessuno potrà accettare l’idea che, nel segno del Vino e della Passione, il cammino del Caravaggio è la prova vivente che le figure di Cristo e Dioniso – qui sta il principale motivo d’interesse del copione – si sovrappongono e si intrecciano intimamente. Che sussistano numerosi punti di contatto è un dato ampiamente acquisito (si leggano Hölderlin, Weil, Zolla): seppur in un senso diverso, ambedue le divinità “liberano” gli esseri umani dalla colpa, dal peccato; affinità già prudentemente indicata da Padri della Chiesa come i Cappadoci. Commistione “mitologica” da ridurre, antica verità da tacere: l’Ombra e, dietro di essa, il pontefice Paolo V (Maurizio Donadoni) non permetteranno, dunque, che si metta al centro della fede un “messia ebbro”, che ci si prostri ai Suoi piedi lordi, alla sua “atroce” bellezza, come fece il cardinal Del Monte (Placido medesimo), novello Penteo, femminescamente truccato, obbediente al ritmo di una “falloforia” (sequenza che ricorda un po’ il cinema di Ken Russell) e tentato perfino di baciare l’artista sulle labbra. Il disegno di Caravaggio / Cristo / Dioniso fatalmente si compie. Schernito, smembrato, scompare a poco a poco nel buio del mare…

L’ombra di Caravaggio non è esente da limiti e cadute: Scamarcio ce la mette tutta, offrendo la prova più convincente dopo Il testimone invisibile, gli sono però di intralcio un certo narcisismo (culminante in un omaggio a Carmelo Bene del tutto fuori luogo) e ostinate acerbità espressive. Discontinui gli altri attori, non abbastanza incisivo il confronto finale con l’Ombra. Vi è, comunque, un merito innegabile. Chi, fra i lettori, magari in preparazione all’esame universitario di “Metodologia della ricerca storico-artistica”, stesse esplorando il corpus saggistico di Roberto Longhi (1890-1970), specie la monografia (1952) sul grande pittore, non potrà non restare a bocca aperta di fronte alle scene di Tonino Zera (Romeo & Juliet), ai costumi di Carlo Poggioli (L’educazione fisica delle fanciulle) e all’approfondito studio luministico di Michele D’Attanasio (Capri-Revolution), ciascuno degno di confronto con il già ragguardevole contributo di Giantito Burchiellaro, Lia Morandini e Vittorio Storaro allo sceneggiato Rai (2008) di Longoni: proprio quei rioni popolari partenopei i cui rumori e scalpiccio di passi quasi si sentono nelle pagine di Longhi, e così i fuochi, i gemiti funebri e i canti festosi, il sangue rappreso su ferite ancora aperte, le paganeggianti epilessie, nudità ora furiose ora senili, di miserabile magrezza, tremanti d’orgasmi o di malsano gelo, quell’odore dolciastro di orine, cenere lignea e acqua piovana che tanto impressionarono il Pasolini studente d’arte da ricordarsene, in futuro, per il Decameron (’71) diventano nel film di Michele Placido immagini fortemente sensoriali, lugubri eppure attraversate da folate di sensuale esuberanza. È un Caravaggio “giovane”, verrebbe da dire, per quei giovani che non lo conoscono ma… già sono consumati dalla sua stessa “fame”.

Dell’autore invitiamo, infine, a riscoprire Un viaggio chiamato amore (2002) e Ovunque sei (2004) i quali formano, assieme a L’ombra di Caravaggio, un’ideale, insolita trilogia di ispirazione “orfico-dionisiaca”. Parimenti importante il saggio Caravaggio. Percorsi di arte & cinema (Effatà; 2007) di Mario Dal Bello.

Guarda il trailer ufficiale de L’ombra di Caravaggio

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Tra gli esiti migliori di Michele Placido, L’ombra di Caravaggio forma con Un viaggio chiamato amore e Ovunque sei un’ideale trilogia di ispirazione “orfico-dionisiaca”. Le scene, i costumi, un attento studio luministico infondono vita non solo alle celebri tele del Merisio ma pure ad alcune delle più suggestive, erudite pagine dello storico dell’arte Roberto Longhi, professore di Pasolini a Bologna. Si riscontrano limiti, cadute tuttavia Scamarcio convince ed emoziona.
Giordano Giannini
Giordano Giannini
I VHS sono stati fedeli compagni di gioco; mostrandoci “Il ragazzo selvaggio” di Truffaut in quarta elementare, la maestra mi ha indicato, senza volerlo, la strada da seguire | Film del cuore: La strada per il paradiso | Il più grande regista: Andrej Tarkovskij | Attrice preferita: il “braccio di ferro” è tra Jennifer Connelly e Rachel Weisz | La citazione più bella: "Tra quegli alberi c’è qualcosa." (Predator)

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