venerdì, Marzo 31, 2023
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L’innocent, recensione del film di e con Louis Garrel

La recensione de L'innocent, il nuovo film diretto e interpretato da Louis Garrel. Prossimamente al cinema.

L’axolotl, italianizzato spesso in “assolotto”, è un esserino buffo, simile a un piccolo drago, comune nei laghi e nei corsi d’acqua dolce messicani. Imparentato con le salamandre, zigzagante corpicino rosa pallido e branchie cremisi sporgenti, gli erpetologi lo classificano come “anfibio neotenico” ossia capace di mantenere i tratti larvali in età adulta, riproducendosi, certo, senza però portare a termine la metamorfosi. Perciò il suo aspetto, in chi lo guarda, infonde stupore e tenerezza insieme, come se un ranocchio avesse deciso di restare per sempre girino. A breve in sala con BIM, questo L’innocentpresentato in anteprima italiana alla 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma (in programma dal 13 al 23 ottobre) -, piacevole sorpresa autunnale, facendo dispettosamente l’occhiolino al “polpettone” di Octave Feuillet avrebbe potuto benissimo intitolarsi anche così: Romanzo di un giovane axolotl.

Figlio d’arte, classe ’83, il bel tenebroso Louis Garrel, indimenticabile Théo per Bertolucci, gira il suo quarto lungometraggio con un sorriso, rivolgendosi sottovoce a un’intera generazione – l’ennesima, spiace dirlo, buttata via, “sciolta nell’acido” o sommersa di soluzioni a epocali problemi senza, però, ricevere gli strumenti necessari per attuarle – di “axolotl”, prossimi alla quarantina, avvezzi più a contemplare che ad agire. Muti, feriti. Lucidi quanto ininfluenti, giudiziosi e fatalmente inascoltati per via… dello sguardo, del sembiante, tutto teoria e niente pratica, di eterni “girini”. Garrel stesso si sentirà, forse, un axolotl “dentro” ma non si piange addosso né, come regista, coltiva smisurate ambizioni a differenza di tanti, troppi tromboni muniti di cinepresa. Vuole solo divertire e che lo si lasci divertire. Senza vergogna, senza ipocrisie.

Il divo parigino, quindi, si sdoppia vestendo davanti all’obiettivo i panni di Abel, scrupolosa guida al “Cinéaqua”, ammirato dalle scolaresche (alle quali spiega proprio le abitudini del simpatico anfibio messicano) e da una dottoranda in biologia marina (Manda Touré), segretamente interessata, lo si intuisce dallo sguardo, a “lezioni” d’altro genere. Timido com’è Abel non si accorge di nulla, continuando a desiderare “nell’ombra” Clémence (Noémie Merlant, occhi che fanno innamorare), collega e amica di lunga data, istrionica e volitiva. Neppure a lei, comunque, ha il coraggio di aprirsi, mascherandosi, anzi, dietro futili battibecchi: è ancora prigioniero del passato, del ricordo della moglie, morta di un brutto male pochi anni prima, alla quale dedica una “romanza” quasi ogni giorno (già qui Garrel comincia a “giocare” con lo spettatore cinefilo, rielaborando Anonimo veneziano di Stelvio Cipriani in colonna sonora, facendo di Abel un emulo del triste musicista di Tony Musante, con un sassofono al posto dell’oboe).

Uno spettacolo di intelligente spensieratezza

C’è chi nuota in un acquario e chi in mare aperto; chi si affanna a sembrare vivo e chi si è fatto un’istruzione in gattabuia. E la madre di Abel, Sylvie (Anouk Grinberg), di ex galeotti ne ha conosciuti parecchi. E amati. L’ultima conquista non sfugge alla “tradizione”: stavolta sembra davvero pentito, affidabile più di altri entrati e usciti dalla sua vita con la stessa rapidità. Lo sposa civilmente, insieme a lui apre un negozio di fiori. Nell’angolo, Abel vigila. E a ragione. Michel (Roschdy Zem), il nuovo “patrigno”, non si è lasciato alle spalle, come promesso, i loschi affari: un ultimo colpo (depredare un tir da trasporto alimentare del pregiato carico di caviale del Mar Caspio) lo attende e, una volta scampato agli sbirri, una grossa “fetta” di € 30.000 per saldare i propri debiti. Che farà il protagonista? Svelerà tutto a mamma, dimostrandole, con la solita sicumera, che Jean Valjean non esiste e il cuore l’ha mal consigliata un’altra volta? Oppure il nostro si rivelerà per Michel un complice inaspettatamente leale, spalleggiato dalla sbarazzina Clémence? Sembrerà pure un po’ goffo ma, non dimenticatelo, l’axolotl ha la straordinaria facoltà di rigenerare tessuti e organi come nessun’altra creatura al mondo: ugualmente Abel compirà la sua parabola, cancellando le cicatrici, abbandonandosi una volta per tutte al coraggio, alle infinite vie di Cupido…

Come prima accennato, Louis Garrel pare non aver altro intento che offrire al pubblico uno spettacolo di intelligente spensieratezza. Non ha scordato le lezioni del padre Philippe o di altri maestri d’Oltralpe, in particolar modo François Truffaut e Patrice Leconte dei quali omaggia visibilmente le incursioni nel noir (rispettivamente Finalmente domenica e L’uomo del treno) e l’ironica levità che le distingueva. Volendo essere un po’ cattivi potremmo scrivere che L’innocent non dice, in fondo, granché ma almeno lo dice con grazia, catapultandoci per un’ora e quaranta, fra split screen e giocosi tagli d’inquadratura (la fotografia porta la firma di Julien Poupard), in un universo filmico imprevedibile, caleidoscopico, alla fin fine contagioso per l’effervescente amoralità (non solo non esiste un diritto all’innocenza, sussurra Garrel, ma essere innocenti è forse oggi il “peccato” più grave, senza contare che fra mondo e carcere, dentro o fuori, la differenza è meno marcata di quanto si pensi) e la cialtroneria orgogliosamente “adolescenziale” che accendono la narrazione.

Dopo Amoureux de ma femme (Sogno di una notte di mezza età) di Daniel Auteuil e Cette musique ne joue pour personne di Samuel Benchetrit (tutt’ora inedito in Italia) ecco, dunque, una nuova, sottile commedia francese sull’immaginazione e la rappresentazione (la madre di Abel è, fra l’altro, un’ex attrice) intese come il sale della vita, sulla recitazione come dispettoso “scandaglio” che porta a galla segrete verità e dà forma a realtà più “concrete” (più “pericolose”, talvolta) della realtà stessa. La sequenza del “diversivo scenico” all’autogrill che evolve, a mano a mano, in una dichiarazione amorosa di Abel a Clémence è semplicemente strepitosa. All’efficace partitura originale di Grégoire Hetzel (La donna che canta) si alternano successi di fine anni Ottanta come Nuit magique di Catherine Lara, I maschi di Gianna Nannini, Une autre histoire di Gérard Blanc… e persino il tema principale de La polizia sta a guardare (’73) del succiato Cipriani.

Al diavolo! Tutti in pista per un lento… «Nuit magique, / nuit de hasard, on se sépare / sans trop y croire / Nuit magique, / une histoire d’humour qui tourne à l’amour / quand vient le jour…»

Guarda il trailer ufficiale de L’innocent

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Non solo non esiste un diritto alla purezza, sussurra L’innocent, ma essere puri è forse oggi il “peccato” più grave, senza contare che fra mondo e carcere, dentro o fuori, teatro e marioleria, la differenza è meno marcata di quanto si pensi. Alla sua quarta regia, Louis Garrel vuole solo offrire al pubblico un’ora e quaranta di intelligente spensieratezza, ispirandosi a suo modo alle incursioni nel genere noir di maestri quali Truffaut e Leconte. Piacevole.
Giordano Giannini
Giordano Giannini
I VHS sono stati fedeli compagni di gioco; mostrandoci “Il ragazzo selvaggio” di Truffaut in quarta elementare, la maestra mi ha indicato, senza volerlo, la strada da seguire | Film del cuore: La strada per il paradiso | Il più grande regista: Andrej Tarkovskij | Attrice preferita: il “braccio di ferro” è tra Jennifer Connelly e Rachel Weisz | La citazione più bella: "Tra quegli alberi c’è qualcosa." (Predator)

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Non solo non esiste un diritto alla purezza, sussurra L’innocent, ma essere puri è forse oggi il “peccato” più grave, senza contare che fra mondo e carcere, dentro o fuori, teatro e marioleria, la differenza è meno marcata di quanto si pensi. Alla sua quarta regia, Louis Garrel vuole solo offrire al pubblico un’ora e quaranta di intelligente spensieratezza, ispirandosi a suo modo alle incursioni nel genere noir di maestri quali Truffaut e Leconte. Piacevole. L'innocent, recensione del film di e con Louis Garrel