martedì, Marzo 28, 2023
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Life Is (Not) a Game, recensione del film con la street artist Laika

La recensione di Life Is (Not) a Game, film di di Antonio Valerio Spera con protagonista la street artist Laika. Da gennaio nelle sale italiane.

Laika: un nome, un personaggio, un brand, un’icona, un’attivista, un’artista e molto altro. È difficile ridimensionare, entro dei paletti, la creatività vulcanica di quella che viene considerata la risposta italiana a Bansky, la misteriosa “attacchina” (come si definisce lei stessa) la cui arte arriva in sala grazie al documentario Life Is (Not) a Game, diretto da Antonio Valerio Spera, scritto da Daniele Ceselli e presentato, in anteprima mondiale, alla 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma (in programma dal 13 al 23 ottobre)

Life Is (Not) a Game non è un convenzionale documentario sull’arte né un classico biopic, ma il racconto degli ultimi due anni della nostra vita osservati dal punto vista della celebre artista romana, autrice di alcune famosissime opere simbolo della street art romana contemporanea (#Jenesuispasunvirus e L’Abbraccio, ad esempio). Il racconto inizia proprio nel 2020, partendo dall’epidemia di Covid e arrivando fino alla guerra in Ucraina: il documentario, dalla forte impronta “pop”, fatta di contaminazioni e omaggi, in bilico costante tra ironia e profondità d’analisi, segue Laika nel corso dei suoi blitz notturni, nel confinamento durante i duri mesi del lockdown, per poi accompagnarla in Bosnia all’inizio del 2021, quando l’artista decide di intraprendere il viaggio sulla rotta balcanica per denunciare le atroci condizioni di vita dei migranti; e infine in Polonia, al confine con l’Ucraina, nell’aprile del 2022.

Life Is (Not) a Game: già il titolo è un gioco di parole, un ossimoro logico tra l’idea della vita intesa (appunto) come gioco e la serietà con cui ci si approccia ad essa e alle sue contraddizioni, ben espresse dall’arte “da attacco” di Laika. Con i suoi riconoscibili adesivi, la street artist romana non solo ha colonizzato la capitale, ma ha anche lasciato un solco profondo in questi anni d’attualità conflittuale tra pandemia, guerre, social media pronti a rivoluzionare la nostra etica digitale e (dis)educazione civica.

Un tentativo pionieristico più sulla carta che nella resa 

Laika vive al passo con l’attualità ed è immersa nel suo tempo, creatura di questi anni, personaggio prima che persona dall’identità indefinita e fluida, coperta solo da una maschera bianca (degna del teatro) nella quale ognuno può proiettare il proprio riflesso: Laika è una, ma ognuno di noi è – e potrebbe essere – Laika. Uno, nessuno e centomila per raccontare, come uno specchio, le immagini che scorrono frenetiche tutti i giorni, costruendo progressivamente un quotidiano contraddittorio ed effimero, anacronistico e distopico.

Se è il tema ad affascinare lo spettatore, forse anche poco avvezzo alle avventure urbane (e metropolitane) della street artist attivista, corrispettivo del britannico Banksy, un po’ meno lo è la forma che si sceglie. Antonio Valerio Spera opta per la tecnica del documentario più classico e prevedibile, costruito per immagini e correlativi oggettivi di idee e situazioni: segue Laika nelle sue scorribande, le lascia infrangere la quarta parete come in un video diario dal sapore social, azzera la focalizzazione e si trasforma nell’occhio meccanico che tutto scruta senza mai intervenire, super partes e onnisciente testimone silenzioso di imprese e avventure.

Life Is (Not) a Game rappresenta un tentativo pionieristico più sulla carta che nella resa effettiva, figlio di un cortocircuito comunicativo tra contenuto ed estetica, forma e idea: non aggiunge niente di nuovo alla tradizione dello storytelling documentaristico, ma cerca almeno di sensibilizzare e risvegliare le coscienze, aprendo agli spettatori un ventaglio di conoscenze che appartengono al mondo della cultura suburbana contemporanea.

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Life Is (Not) a Game rappresenta un tentativo pionieristico più sulla carta che nella resa effettiva, figlio di un cortocircuito comunicativo tra contenuto ed estetica, forma e idea: non aggiunge niente di nuovo alla tradizione dello storytelling documentaristico, ma cerca almeno di sensibilizzare e risvegliare le coscienze, aprendo agli spettatori un ventaglio di conoscenze che appartengono al mondo della cultura suburbana contemporanea. 
Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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Life Is (Not) a Game rappresenta un tentativo pionieristico più sulla carta che nella resa effettiva, figlio di un cortocircuito comunicativo tra contenuto ed estetica, forma e idea: non aggiunge niente di nuovo alla tradizione dello storytelling documentaristico, ma cerca almeno di sensibilizzare e risvegliare le coscienze, aprendo agli spettatori un ventaglio di conoscenze che appartengono al mondo della cultura suburbana contemporanea. Life Is (Not) a Game, recensione del film con la street artist Laika