Lei mi parla ancora è il titolo del nuovo film firmato da Pupi Avati, pronto a tornare dietro la macchina da presa – e con una romantica storia d’amore – dopo la recente incursione nell’horror con Il Signor Diavolo. In questo affresco corale dislocato nel tempo, i protagonisti sono interpretati da Fabrizio Gifuni (visto di recente nel film Netflix La Belva), Isabella Ragonese, Chiara Caselli, Lino Musella, Nicola Nocella, Serena Grandi e Stefania Sandrelli insieme a un grandissimo Renato Pozzetto, cuore del film, che ritorna sulle scena anni dopo a sua ultima apparizione sul grande schermo. Il film, targato Sky Original, prodotto da Bartlebyfilm e Vision Distribution in collaborazione con Duea Film, non ha avuto una distribuzione in sala a causa dell’epidemia da Covid-19, ma sarà disponibile in prima assoluta su Sky Cinema a partire dall’8 febbraio e in streaming su NOW TV, disponibile anche on demand.
Nino (Pozzetto) e Caterina (Sandrelli) sono sposati da sessantacinque anni e si amano profondamente dal primo momento che si sono visti. Alla morte della donna, la figlia, nella speranza di aiutare il padre a superare la perdita dell’amata, gli affianca un editor con velleità da romanziere per scrivere, attraverso i suoi ricordi, un libro sulla loro storia d’amore. Amicangelo, nonostante le differenze con Nino, entrerà progressivamente nel suo mondo fatto di ricordi vividi, sentimenti pulsanti, pensieri d’amore ed emozioni che accompagnano l’anziano, convinto di poter ancora comunicare con la moglie defunta.
Lei mi parla ancora è la quintessenza dell’universo di Pupi Avati: un mondo rarefatto, cristallizzato nel tempo; un’istantanea delicata incastonata in un piccolo interludio affacciato sul crepuscolo di un’epoca sospesa. Avati abbandona le atmosfere più inquietanti e distopiche dei suoi film dell’orrore riscoprendo, invece, il piacere malinconico di un’immortale storia d’amore ma senza rinunciare a delle suggestioni “gotiche”. Perché, proprio come in un romanzo gotico inglese dell’800, il paesaggio riflette la sfera emotiva dei personaggi, trasformandosi in uno specchio delle loro emozioni più intime e nascoste; una superficie sulla quale si riflette la luce, grande protagonista della fotografia del film.
La luce che definisce i contorni di personaggi e spazi – esterni ed interni, reali o immaginari – scolpisce le inquadrature, contribuendo a creare la materia del sogno e del ricordo; in tal modo il contrasto con la realtà, la narrazione pronta a slittare continuamente dal passato al presente, viene accentuato fino a trasformarlo in una netta linea di demarcazione che segna il confine fisico tra due dimensioni. Pur avendo adattato il romanzo scritto da Giuseppe Sgarbi (padre di Vittorio ed Elisabetta) Lei mi parla ancora – Memorie edite e inedite di un farmacista, il film sembra viaggiare tra mondi diversi attraversando anche i media e, a tratti, i codici canonici dei generi.
Lei mi parla ancora ha un impianto narrativo che deve molto alla propria origine letteraria; ma la presenza della voce narrante non è ingombrante, finendo piuttosto per somigliare al punto di vista di un narratore esterno ed onnisciente che conosce i fatti mostrati allo spettatore, guidandolo attraverso un dedalo di ricordi e memorie del passato. La ricostruzione non convenzionale della storia segue il flusso emotivo dei pensieri – e delle tempeste del cuore – di Giuseppe “Nino”, rendendolo a tutti gli effetti il protagonista assoluto intorno al quale ruotano gli eventi ma che permette, allo stesso tempo, d’innescare altre situazioni narrative come quelle che vedono coinvolto Amicangelo, l’editor. Ed ecco quindi che le due linee narrative diverse finiscono per intersecarsi e coincidere, fino a perdersi negli inestricabili labirinti della mente e del cuore.
Di sicuro Lei mi parla ancora può contare su un solido cast popolato da volti noti e perfetti nei loro ruoli, anche se marginali e di contorno, funzionali a raccontare una storia larger than life: Gifuni, la Ragonese e Musella nei panni dei giovani Rina e Nino; ma anche la Caselli nei panni della figlia, Nicola Nocella in quelli del fedele maggiordomo-ombra, Serena Grandi rassicurante madre-chioccia e Alessandro Haber, presenza spiritica costante. Ma, indubbiamente, a rubare la scena e a calamitare l’attenzione sono la (brevissima) performance di Stefania Sandrelli e la toccante interpretazione di Renato Pozzetto.
Quest’ultimo, dopo più di 70 film comici girati nel corso degli anni, raggiunge forse la perfezione calandosi nel ruolo della vita: un personaggio dolente ed enigmatico, malinconico e intimo; un fantasma che si muove tra i vivi, incastrato nella persistenza della memoria, perduto nei corridoi del ricordo di un amore immortale, convinto di aver battuto la corruzione del tempo semplicemente giurando eterna fedeltà all’unica donna che abbia mai amato. Pozzetto, con dei tempi perfetti e una recitazione “piccola” e mai sopra le righe, si trasforma nel transfert di Nino Sgarbi; ma dimostra, a sua volta, di essere il doppelgänger ideale di Avati stesso, maestro incrollabile della narrazione del ricordo e della memoria, testimone silenzioso di un’epoca fulgida e malinconica (in virato seppia).